IAIP – Internacional Association of Individual Psychology

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23th Congress of the International Association of Individual Psychology
PSICOTERAPIA: POTERE O SERVIZIO?
Federica Marabisso
e-mail: [email protected] B. Alessio

…Il ruolo della co-operazione nella relazione terapeutica

Una buona relazione terapeutica consiste in una relazione che potremmo definire “amichevole”, tra due pari, secondo l’idea di Adler che pensava allo psicologo come “l’amico che ne sa di più” ed affianca con intelligenza e costante presenza il paziente (Fusaro, 2003). Soltanto se il paziente si sente sicuro nella relazione con lo psicologo, potrà svilupparsi la cooperazione tra lui e il terapeuta; fin dall’inizio dell’intervento devono essere prese tutte le misure necessarie per favorire il clima di fiducia (Ansbacher, Ansbacher, 1956). Come Adler afferma “la funzione dello psicologo è quella di mettere il paziente nella condizione di vivere un’esperienza di amicizia” ed il trattamento psicoterapeutico può essere definito come un esercizio e una prova di cooperazione che può concludersi positivamente solo se c’è un sincero interesse per gli altri. (Ansbacher, Ansbacher, 1956, pag.379). Il paziente infatti deve poter sperimentare una relazione autentica, adulta, reale, nella quale possa viversi come individuo portatore di valore, di significato, di un progetto di vita. Grandi (2002) Anche il setting deve essere strutturato in maniera da favorire la cooperazione. Sia il terapeuta adleriano sia il paziente siedono uno di fronte all’altro, con le sedie allo stesso livello. L’adleriano non si sottrae alla contingenza dell’incontro, egli sceglie di essere visibile, di non sottrarsi allo sguardo e permette al paziente di utilizzare tutto di lui, anche i movimenti del corpo, la postura e l’espressione del viso. Il terapeuta adleriano si presenta come una “persona”. Prendendo le distanze dal modello medico, l’adleriano è contrario, quindi, a conferire allo psicologo il ruolo di attore (onnipotente, onnisciente e misterioso) e al paziente il ruolo di individuo su cui si agisce. Il terapeuta si colloca all’interno del gioco analitico; il qui ed ora si traduce in occasione per realizzare l’incontro di due sé autentici, incontro dialettico e progettuale (Grandi, 2002, pag.141). Il concetto di terapeuta anonimo è estraneo alla psicologia adleriana, infatti un simile ruolo aumenterebbe la distanza sociale tra i due attori e non sarebbe possibile la “co -operazione” l’operare insieme. Nella concezione adleriana questo implica la partecipazione attiva del terapeuta, coagente unitamente al paziente, nel processo terapeutico (Grandi, 2002, pag. 137). In ogni seduta, bisogna valutare se il paziente stia cooperando o no; ogni gesto, espressione o cosa che dica o non dica, può rappresentare un segnale (Ansbacher, Ansbacher, 1956). Questo è molto importante in quanto la cooperazione, indispensabile per il buon esito di un intervento, implica un allineamento degli obiettivi. Le resistenze che il paziente mette in atto nel processo terapeutico e che vanno a minare la cooperazione tra i due attori, coincidono, per Adler, con la mancanza di coraggio da parte del soggetto. Tale mancanza esprime un sentimento sociale povero; incoraggiare significa, come sappiamo, attivare tale sentimento comunitario.

L’obiettivo della terapia nella pratica adleriana coincide allora con la modifica dello stile di vita del paziente che dovrà sperimentare un accresciuto sentimento sociale e quindi una maggiore capacità di relazionarsi con gli altri in modo cooperativo. Tale cambiamento lo porterà a vivere in maniera più armonica anche i compiti della vita.

La cooperazione, quindi, oltre ad essere lo strumento attraverso il quale paziente e terapeuta sperimentano quella relazione amichevole di cui parla Adler e che rappresenta la premessa indispensabile per un trattamento di successo, diventa anche obiettivo dell’intervento. L’accrescimento delle capacità cooperative di un individuo porta necessariamente con sé un aumento del sentimento sociale, caratteristico di un’organizzazione di personalità adulta e sana. Il rafforzamento di tale sentimento deve partire da un qualsiasi rudimento ancora presente, entrarvi in contatto, rafforzarlo fornendo l’esperienza di un amico attraverso la cooperazione nel compito comune della terapia; successivamente l’analista deve far confluire il sentimento sociale, nuovamente ridestato, anche verso gli altri. Adler considera questo procedere come la “tardiva assunzione della funzione materna” e come afferma Mosak (1995) la psicoterapia si può anche definire come un’impresa cooperativa d’educazione.

Per operare un confronto tra teoria e prassi psicoterapeutica abbiamo svolto alcune interviste rivolte a degli analisti e terapeuti dell’istituto A.Adler di Torino che hanno appunto co-operato.

Dal contributo dei terapeuti intervistati sembra davvero emergere una piacevole corrispondenza tra i fondamenti teorici della Psicologia Individuale e la prassi che rivela, attraverso la relazione, sia essa in ambito clinico, aziendale o socio-educativo, l’importanza e la difficoltà di vivere con l’altro un’esperienza di cooperazione, esperienza che si connota come percorso trasformativo e formativo. La capacità cooperativa viene quindi intesa come la caratteristica di un’organizzazione di personalità adulta e sana che deve appartenere al terapeuta, il quale viene a delinearsi come la persona che rende possibile, facilita, l’incontro e ne presidia la qualità. Si potrebbe definire la cooperazione come uno “stile”, stile che deve essere proprio del terapeuta. Come spiega L.G. Grandi nell’intervista “Il buon terapeuta dovrebbe avere nello stile di vita l’attitudine alla cooperazione, poiché il terapeuta dovrebbe essere in grado di realizzare quell’incontro che non è accondiscendenza, ma comprensione delle caratteristiche della persona, del suo stile di vita. Il terapeuta non cooperativo rischia di fare un lavoro tecnico. Se il paziente può cambiare anche attraverso l’esperienza che fa del proprio analista, ne consegue che quest’ultimo deve esprimere attraverso la sua condotta, il suo pensare ed il suo “sentire”, uno stile di vita “impregnato” di sentimento sociale e deve poter concepire il proprio lavoro come un “servizio”. Il terapeuta che si pone al servizio del paziente,ricorda L.G.Grandi (1995) deve sentirsi impegnato al confronto costante con gli altri, con quello spirito di cooperazione orientato non ad affermare la propria superiorità bensì ad accogliere l’altrui esperienze, il tutto nell’ottica della crescita personale.

Si può allora riflettere circa il titolo di questa comunicazione “psicoterapia: potere o servizio” e domandarsi se non possa avere senso parlare di Potere del Servizio nella nostra professione.

 

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