IAIP – Internacional Association of Individual Psychology

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Emanuela Grandi Maria Morcinelli Psicoterapeute Istituto di Psicologia Individuale “A. Adler” – Torino – Italia e-mail: [email protected][email protected] Lo sviluppo dei saperi non ci ha accompagnato in un mondo di saperi deterministici e onnipotenti tali da dominare la natura e il divenire, al contrario il XX secolo ha segnato la fine dell’ideale positivista gettando gli uomini nell’incertezza. La speranza era quella di un sapere capace di spiegare le leggi del reale e della natura per poterle controllare, per poterle dominare. Libero è colui che domina, domina la natura, il tempo, il proprio corpo, il reale: questo era il fondamento dello scientismo positivista. In realtà, anche se la tecnologia non cessa di progredire, il futuro resta più che mai imprevedibile. Come afferma Grandi “il nuovo idolo è il dubbio: nello stato di indeterminatezza che ne consegue, tutto diventa lecito”. (Grandi L.G., 2003 Sagittario n. 13, anno 2003) La società attuale avvalla l’idea che tutto sia possibile e che la libertà sia strettamente legata al dominio. Gli ideali dominanti nella nostra cultura hanno subito una profonda trasformazione e sembra che la sola autorità e la sola gerarchia accettate e accettabili sono determinate dal successo e dal potere personale. La nostra società è pervasa da un individualismo senza limiti e da relazioni determinate dalla logica del consumo: nessuna forma di solidarietà viene percepita positivamente perché l’umanità appare costituita da individui isolati che intrattengono tra loro soprattutto delle relazioni competitive facendo passare in secondo piano le solidarietà familiari o di altro tipo. In questa logica anche il riconoscimento della “differenza” e della “diversità” resteranno dichiarazioni vane e illusorie. “E’ lo sconvolgimento di chi sente naufrago in un oceano tempestoso, che ha perduto la guida della stella polare: viene segnalato con angoscia che la ricerca scientifica non è più guida sicura ed anche la depauperata religiosità non pare più in grado di rispondere alle domande dell’uomo del terzo millennio” (Grandi L.G., 2003 Sagittario n. 13, anno 2003) In quanto clinici ci siamo soffermati a riflettere sul disagio che, fonte di sofferenza, ci investe quotidianamente. Pensiamo infatti che questo percorso sia necessario per capire ciò che accade nelle nostre consultazioni e nella quotidianità più concreta. Conoscere come muta il contesto sociale ci può sicuramente aiutare a discernere meglio le ragioni del malessere nella situazione in cui viviamo, in cui vivono in nostri pazienti con le loro famiglie. Come terapeuti potremmo scegliere di lavorare nella direzione di far emergere il legame sociale, il legame famigliare, il legame come forma di vita pensando quindi che l’obiettivo della terapia miri alla formazione, o meglio alla rifondazione dei legami suddetti. Potremmo però optare per una seconda strada e preparare il paziente all’insegna dell’individualismo che sembra avere come motto “tutti contro tutti”, seguendo l’antico dettato “homo hominis lupo”. Alcuni interventi psicoterapeutici, infatti, si propongono con la finalità di aiutare il paziente a dominare al meglio il suo ambiente, la sua psiche, i suoi sintomi senza comprendere la difficoltà esistenziale che si cela dietro al sintomo, perché quello che conta è diventare autonomi illudendosi di poter fare a meno dell’altro. Noi condividiamo sicuramente che “l’operare dello psicoterapeuta individual – psicologico, richiama l’assunzione dell’operare umano nella sua complessità. (…) la relazione con il paziente, pertanto deve includere le variabili e le determinanti che la qualificano e permettono di promuovere un progetto; si dovrà procedere nell’elaborazione dei valori di riferimento; il modello non potrà prescindere, di conseguenza, dalla volontà e dall’azione dell’uomo nella realtà fenomenica” (Grandi, 2000, Sagittario n° 8). L’uomo, secondo la psicologia individuale, è espressione di teleogismo e di libertà, l’uomo è portatore di valore ed è per questo che, come affermava A. Adler e sottolinea fortemente il prof. Grandi, “La conoscenza dell’uomo” implica una scienza dei costumi, quelli esistenti in un preciso luogo e in un determinato tempo. Non si può considerare l’uomo come un essere isolato: la terapia implica la comprensione delle situazioni “vissute” dal paziente tenendo ben presente la differenza esistente tra individuo e persona. Il termine “individuo” ci porta a pensare ad una società formata da esseri separati gli uni dagli altri, che stabiliscono dei contatti con il loro ambiente e con gli altri, ma senza condivisione; la definizione di “persona” indica ognuno di noi come essere multiplo e che ha un rapporto di apertura e di condivisione con il mondo. Obiettivo della psicoterapia è per noi “aiutare il paziente ad aprire gli occhi, permettendo la riscoperta dei valori, valori che riposano già in noi.(…) ma per conseguire l’obiettivo bisogna essere coraggiosi. Coraggio è la disponibilità ad essere aperti ai valori e soprattutto ad assumere la decisione di volerli realizzare”. (Grandi L.G., Sagittario n° 9, anno 2001). Nell’ultimo periodo sempre più si è rilevata la “prometeica tendenza all’andare oltre, a varcare i confini del possibile, a rendere possibile l’impossibile” (Grandi L.G., Sagittario n. 16, dicembre 2004). Questo sia da parte del terapeuta che da parte del paziente. Entrambi, infatti, si trovano a vivere in un mondo diverso rispetto a quello della loro infanzia, attualmente governato in base alle regole del potere e dell’apparire, che spingono alla ribellione ad alla “prova di forza”.

Perché parlare di “ribellione” e di prova di forza? La prima è un dato assoluto della società attuale: “si sostituisce al dettato che guida le occasioni e le differenze la possibilità assoluta, il ” (Grandi L. G., Sagittario n. 16, dicembre 2004) L’essere umano è caratterizzato da una continua alternanza fra le proprie esigenze (i desideri) e le effettive possibilità di soddisfacimento. Questo lo porta verso una marcata antinomia tra il possibile ed il lecito. In un contesto sociale che impone un’immagine di persona “vincente”, “perfetta”, “forte”, “autonoma”, eccetera, diventa molto complesso mostrare le proprie fragilità ed avere il coraggio di chiedere aiuto. Questo modello porta quindi ad un forte sentimento di perdita di identità, e ad una crisi di significato, di scopo, di valore, che frastorna il senso della vita e che spesso causa un’angoscia panica, prodotta anche da un atteggiamento di negazione delle proprie fragilità. Questo atteggiamento crea reazioni nel soggetto provocando o forte dipendenza nei confronti di chi gli sembra detenère il potere, oppure un atteggiamento dispotico e “onnipotente”. Tendenza difensiva. Si arriva così ad un “vuoto esistenziale”, una malattia dell’animo che si ha l’obbligo di affrontare , espressione del senso di una totale e definitiva insignificanza. Pensiamo poi a quanto, nel quotidiano, possiamo riscontrare l’abuso di potere: genitori nei confronti dei figli, datori di lavoro sui dipendenti, eccetera. E’ superfluo affermare che l’uomo inserito in questo contesto si trova in una difficoltà esistenziale ” a dar vita e respiro ad un aspetto essenziale dell’umanità, cioè all’organizzazione e fruizione di sani ed armonici rapporti personali e sociali (Sagittario n. 13). Possiamo allora metaforicamente parlare di Ulisse quando ci riferiamo all’analista, come di colui che ricerca, che si mette in gioco e non utilizza la forza, ma la capacità tecnica accompagnata da creatività, in un clima di simpatia, empatia, sostegno morale e com-prensione. I “Titani” ci riportano, invece, all’utilizzo della forza, all’impiego del potere, che spesso il paziente prova ad esercitare sia sul terapeuta che nelle relazioni sociali, ma anche per quanto concerne l’analista quando non utilizza gli strumenti corretti, non orientandosi eticamente nel suo lavoro terapeutico. Si sottolinea quindi, “la pregnante significatività di un agire corretto ed ordinato, proprio di colui che possiede la consapevolezza di avere assunto quale missione la centralità del paziente” (Grandi L.G., Sagittario n° 2, anno 1997). Il soggetto che si rivolge oggi all’analista, quindi, è focalizzato sul proprio essere e legge il mondo da un unico punto di vista. L’analisi è da considerare un’arte, in quanto il potenziale espressivo del sé creativo dell’analista, ed è ciò che dà qualità alla terapia e permette l’esprimersi della realtà emozionale del transfert. Il prof. Grandi afferma che psicoterapia vuol dire occuparsi dell’anima altrui, prendersi cura del carattere altrui, è un lavoro raffinato teso a scavare nell’interiorità del paziente ed al contempo nella risonanza emotiva del terapeuta stesso. Lavorare sulle e con le emozioni, spesso combinazione disarmonica di dolore, di rabbia e di tristezza, si configura come un’impresa titanica. E’ indispensabile che il paziente esprima sinceramente le emozioni per poterle incanalare costruttivamente, in quanto la comprensione, da parte del terapeuta, non è sufficiente per dirigere costruttivamente le emozioni e l’operare terapeutico richiede, perciò, il saper organizzare, ad esempio, un inventario delle emozioni suscitate dai problemi portati. L’analista quindi deve ricercare una modalità che permetta di proporre un agire costruttivo, individuando significati ed operazioni che possano apportare sollievo. Nel lavoro terapeutico è importante considerare che ciò che il soggetto ha precedentemente sperimentato, le modalità con cui si è comportato in circostanze precedenti – valutandone ovviamente i risultati- può essere ripreso e riconsiderato e di conseguenza può fornire utili percorsi da riproporre. La storia personale del soggetto, infatti, ha il vantaggio di offrirci la comprensione delle mosse che il paziente si avvia a compiere e la valutazione della loro efficacia. L’impegno dell’analista, nella ns ottica, non è quello di soddisfare il proprio bisogno di dare facili “ricette” seguendo le richieste del cliente, queste infatti si rivelano deresponsabilizzanti per lo psicoterapeuta, poiché offrono al paziente false speranze e la sensazione di soluzioni facili, senza un ulteriore intervento dell’analista ed una messa in gioco più profonda del soggetto. L’impegno intellettuale dell’analista è quindi “assemblare gli elementi acquisiti, assegnare loro un significato, reperire le convergenze, spesso assolutamente indistinguibili da altre situazioni a valenza affine, istituire infine valide analogie” (Grandi L.G., Sagittario n° 13, giugno 2003). Concludiamo affermando che l’obiettivo di una buona analisi, secondo quanto insegnatoci da Grandi, è favorire il cambiamento, modificare l’atteggiamento verso la vita e lo stile di vita patologico che caratterizza il paziente, lavorando sulle disposizioni del soggetto. Si può così arrivare a comprendere che tutto si trasforma e che l’esigenza di una buona analisi è quella di favorire l’armonizzazione delle varie componenti dello psichico fra di loro. Le emozioni vanno considerate e convissute. Atteggiamento che include una innovativa capacità di considerare la situazione complessiva.

Le disposizioni personali prevalenti possono rinforzare gli aspetti malati, le parti non sane e non funzionali del paziente.