IAIP – Internacional Association of Individual Psychology

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23th Congress of the International Association of Individual Psychology
IL SENTIMENTO SOCIALE E LO STRANIERO
G. Ghidoni Lo straniero Dimmi, uomo enigmatico La bellezza? chi ti ama di più? L’amerei volentieri, Tuo padre, tua madre, dea e immortale. tua sorella, tuo fratello? L’oro? Non ho né padre, Lo odio come voi né madre, né sorella, odiate Dio. né fratello. Chi ami dunque I tuoi amici? insolito straniero? Vi servite di una parola Amo le nuvole… il cui senso mi è le nuvole che passano… fino ad oggi sconosciuto. là in basso…là in basso… La tua patria? le meravigliose nuvole! Ignoro in quale latitudine si trovi. C. Baudelaire da Spleen de Paris, 1869 Riteniamo opportuno premettere subito che intendiamo usare il termine straniero secondo due accezioni: per indicare una potenzialità insita in noi che ha necessità di evolversi, di confrontarsi, d’incontrare, di cambiare, di farsi conoscere interagendo dialetticamente con il sentimento sociale e per riferirmi alla problematica dei flussi migratori che modificano per il loro essere l’identità sociale e individuale. Ci pare assai pertinente inoltre ribadire l’Individualpsicologia come pensiero in progress: impossibile pertanto fermarlo, definirlo e renderlo statico. Ogni evento analizzato, umano o sociale, richiede, per essere capito, continue connessioni, svelamenti e contestualità. L’adlerismo è un metodo di lavoro inquieto ma rigoroso che ha attenzione continua al presente definito in un cammino creativo orientato sempre a nuove mete e prospettive. Sia che si tratti del luogo clinico o di quello sociopedagogico, lo stile di vita individuale ha una verità da perseguire che si attua con il coraggio di scendere nell’agorà dove il confronto riduce l’ambivalenza innalzando la responsabilità come principio fondamentale che garantisce la partecipazione alla vita comunitaria. Oggi, il vivere nella nostra società, comporta conflitto, ansia, un perenne senso di insicurezza, disorientamento e la conseguente precarietà e volatilità dei progetti, pertanto avvertiamo intensamente la necessità di posizionarci, di rassicurarci trovando il tempo per elaborare, interrogarci e riflettere. Il senso dell’inadeguatezza potrebbe spingerci verso comportamenti regressivi e difensivi che mirano alla fuga, alla distanza, all’individualismo e, nel peggiore dei casi, alla dissocialità. L’innato senso del limite e la conseguente aspirazione alla superiorità fanno dell’uomo uno straniero che porta in sé, nella propria natura, la contemporaneità di essere in una comunità hospes e hostis. La persona non può attuare il progetto della propria vita senza incontrare lo straniero che prima di essere fuori da noi è con noi, parte di noi ineliminabile. Come è possibile riconoscerlo? Capirlo? Riteniamo opportuno ricordare un passo della Genesi (12.1) che mi ha sempre colpito: ” Vattene dal tuo paese, dai tuoi consanguinei, vattene dalla casa di tuo padre”. Il grande gesto terapeutico, nel senso di bene, di utile da farsi, è comunque una separazione, una lacerazione: fatti straniero. Devi abbandonarti per ritrovarti. Solo peregrinando con l’umiltà e la curiosità dello straniero puoi cogliere lentamente l’identità e la speranza che un’altra terra possa accoglierti. Non è forse questo il percorso di un’analisi e la relativa esperienza transferale? Lo straniero che parla ad Abramo lo invita a cercare la propria identità, il proprio nome, un luogo per riconoscersi; la psicoterapia nell’imparare ad interrogare lo straniero per comprendere il nome, il nuovo, la scelta, il futuro. Tutto questo “non è un’immagine straordinaria dello stesso paradosso del conosci te stesso? Esci da te per vedere chi sei; fatti straniero per abitare. Ma abitare devi, altrimenti quale luogo offrirai all’ospite? E quale volto gli mostrerai se non ti conosci?”. (5, p.137). Persino i pellegrini diretti ai più celebri santuari del mondo sostengono che l’aspetto più importante della loro esperienza stia nel cammino, in questo loro andare per genti diverse, più che nel raggiungimento della meta. La coscienza di non possedere dà valore alla ricchezza, così rinunciare è fare posto e conoscere altre possibilità. Non è possibile costruire alcuna identità senza un dialogo con l’hospes e l’hostis. Adlerianamente, si modifica lo stile di vita unicamente con l’incontro del nostro limite e il sentimento sociale. Il senso dell’incompiutezza trova l’antidoto nell’altro, anzi la piacevole necessità dell’altro fa ritrovare una compensazione equilibrata in una meta basata sull’interesse per la realtà, per gli altri e per la cooperazione. Fare un percorso analitico adleriano significa passare attraverso la dimensione e l’esperienza dello straniero. La conoscenza di noi stessi avviene attraverso l’altro, il sociale, anche se a volte appare ingestibile, assurdo e in più con un comportamento che minaccia le nostre consolidate certezze. La psicoterapia, come modifica dello stile di vita per una nuova progettualità, incontra non solo il piacevole momento della creatività, ma pure l’appuntamento necessario con le perdite, con mutamenti densi di sofferenza perché comunque occorre fare spazio e dare luogo ad altro, abbandonare una “sede” che ritenevo mia di diritto, ristabilire contatti con una collettività scomoda. Troviamo opportuno e sintonico il pensiero di Levinas quando sottolinea come inesorabile sia la finalità per l’individuo di trovare il proprio volto nel volto dell’altro e di considerarlo una traccia pregnante di significati di responsabilità: “Il volto infatti in qualche modo indica, come ” traccia”(…) l’altro come separato, come a sé, da rispettare, e insieme come massima sfida di possesso e di sovranità, e in quanto limite, da eliminare, da sopprimere, da “uccidere”: ma appunto sempre inevitabilmente da riconoscere, proprio perché uccidendolo lo si avverte vivo e libero di non piegarsi ad alcuna imposizione, così da doverlo eliminare” (7, p.22). La necessità dello straniero ( come opposizione, limite, contrasto, diversità, angoscia dell’incomunicabilità) aiuta ad odiare ciò che è di impedimento per un’ autoaffermazione; solo dalla povertà, dalla solitudine si prepara il terreno della fantasia che dà spazio alla convivenza. Adler, dopo aver chiarito senza equivoci la natura psichica dell’uomo sempre in tensione verso un ideale, indica una via d’uscita per realizzarsi proponendo in termini pragmatici e incisivi il metodo e lo strumento con cui procedere nel viaggio verso una completezza realizzativa: la collettività, la vita sociale con il massimo rispetto e centralità per le caratteristiche individuali e peculiari di ciascuno. Passando ora a riflettere sul termine straniero nel suo significato etimologico di colui che proviene da un altro luogo, da un’altra terra, da un’altra patria, è impossibile prescindere dalla problematica dell’integrazione migratoria, specie in Europa, dove domina in nome del “politicamente corretto” la teoria del multiculturalismo. A fianco di questo fenomeno, sempre più numerosi si formano gruppi xenofobi che mirano in termini violenti ad eliminare tale problematica. Di fronte a questo scenario dell’oggi sociale, mi sembra utile e opportuno richiamare tre caratteristiche adleriane. In primo luogo l’uomo ha la necessità della vita comunitaria: “E’ allora facile- afferma Adler- comprendere come la sopravvivenza dell’uomo sia dipesa dalla sua capacità di ottenere condizioni di vita molto favorevoli. Questo obiettivo è stato conseguito proprio grazie alla vita comunitaria divenuta così una necessità. Essa, infatti, con la divisione del lavoro, ha consentito ai suoi membri di affrontare e superare quelle situazioni precluse al singolo individuo. In questo modo l’uomo ha potuto procurarsi quei mezzi di sopravvivenza, offensivi e difensivi, che noi oggi includiamo nel concetto di cultura” (1, p.135). Secondariamente Adler ribadisce l’universalità del sentimento sociale: “…sentimento riconosciuto universalmente che, con la sua voce ammonitrice, irrompe di continuo alla nostra coscienza. La propensione a cercare delle giustificazioni per ogni cosa pensata o fatta nasce proprio da questo motivo. Da esso, inoltre, derivano anche il nostro modo di vivere, di pensare e di agire poiché ciascuno di noi è legato al sentimento comunitario o crede di esserlo o almeno cerca di farlo credere” (1, p.146). Da ultimo la naturalezza della socializzazione come fondamento e comportamento etico, risultato non di una restrizione o frutto di un conflitto, ma espressione di un’ armonia e di una predisposizione naturale. Così Carl Furtmuller, collaboratore di Adler, rafforza tale concetto: “Si deve supporre una disposizione fondamentale, filogeneticamente acquisita, per comprendere la rapidità relativa con cui il fanciullo entra in relazione con il suo ambiente e la relativa facilità con cui il bambino normale può essere allevato” (6, p.153). Non è esperienza diffusa tra gli educatori che operano nella scuola primaria rilevare che i bambini non avvertono fra di loro il diverso? Anzi, una volta divenuti più grandicelli, ne prendono coscienza ne sono attratti, incuriositi. Lo straniero è un’ulteriore occasione maturativa se il sentimento sociale racchiude in sé le caratteristiche di naturalità, universalità e necessità. Affermiamo, senza estremismi e riduttività, che noi non abitiamo in una sicura e nostra terra promessa: se così fosse escluderemmo la possibilità di un dialogo con l’ospite, con lo straniero e il nemico enfatizzando la distanza come norma di vita. Sarà opportuno rimproverarci oggi di un dilagante etnocentrismo che pervade in varia misura la società, la chiesa, la scuola e i media. L’adlerismo non vive il luogo solo come territorio delimitato, ma anche come spazio di memoria, di fatti, di desideri, di significati simbolici ed emozionali. Marc Augè distingue i luoghi dai non luoghi, trovo questi termini molto sintonici e vicini alle nostre riflessioni sul sentimento sociale oggi. I luoghi sono spazi di rapporti, dove le persone si incontrano, esistono, attuano relazioni, dove si fa storia. I non luoghi sono l’opposto: sono indefinibili, non vi accade né la storia né tanto meno la relazione; cosa può accadere in un supermercato o in un aeroporto se non si consumasse e non si usasse la carta di credito come nostra identità? L’individualpsicologia nel suo impianto teorico-pratico parla dello straniero come nostro simile, un uomo proteso in un’ avventura comunitaria che lo riconosce e lo accoglie. Parlando di universalità del sentimento sociale, Adler, definisce la specie umana con una duplice caratterizzazione: vivere in comunità, facendone parte attivamente, in cui esiste un posto che appartiene e che scambia comunicazione interpersonale per naturalezza e necessità. Oggi il termine comunità mi sembra usato in senso discriminante e di abuso con sapore di copertura della tanto vantata identità nazionale. Sembra nascere, nell’Europa di oggi in particolare, una chiamata alla difesa di un posto sicuro che non tradisce pensando di riparare ciascuno dalle minacce esterne e imprevedibili. E’ questa la sicurezza che si vuole garantire? L’identità, se mai, non nasce dalle macerie o dal pericolo di una presunta persecuzione ideologica o religiosa di una comunità, ma nel uscire con coraggio allo scoperto per confrontarsi, anche con il rischio di perdere qualche privilegio, in un costante processo identitario. A questo proposito non siamo certamente aiutati dal pessimismo di Freud che, sia nello scritto L’avvenire di un’illusione come nel Disagio della civiltà, reputa ogni società schiacciata dal destino della coercizione del lavoro e dalla rinuncia delle pulsioni. E’ naturale chiederci se l’obiettivo della emancipazione di alcuni sia la repressione di altri in una comunità di infelici e perdenti destinati all’esperienza immutabile sotto il dominio della frustrazione. Il pensiero sociale, pedagogico e psicoterapeutico è per Adler di tutt’altra natura. La costruzione dell’identità umana passa atraverso l’interazione con il gruppo che genera nel suo interno conflitti e travagli inducendo al rinforzo del ruolo della persona nella propria responsabilità. Più che mai oggi l’adlerismo dovrà interpretare ed esprimersi nei riguardi del rapporto fra sentimento sociale e multiculturalismo. E’ argomento che sento alquanto confuso da retoriche pseudoumanistiche che mirano più a difendersi nel limite di una disponibilità teorica. Poiché intendo portare volutamente a questo congresso lo stimolo sulla necessità dello straniero nella nostra quotidianità, voglio scomodare un sociologo serio che ritengo molto vicino allo spirito individualpsicologico, Zygmunt Bauman: “Liberalizzazione e deregolamentazione sono le parole d’ordine del giorno e il principio strategico osannato e attivamente perseguito da chiunque sia al potere. La domanda di liberalizzazione è molto sostenuta perché i potenti non vogliono essere regolamentati, non vogliono limiti alla loro libertà di scelta né freni alla libertà di movimento, ma anche (e forse soprattutto) perché non hanno più interesse a regolamentare gli altri. Il mantenimento dell’ordine è diventato una patata bollente che chiunque può passa immediatamente a chi si trova più in basso nella scala gerarchica e non può permettersi di ritirare le mani” (3, p. 41). Lo straniero ha creato scompiglio, non ci si chiede chi sia, cosa potrebbe darci, cosa dobbiamo dare o fare; è estraneo, non nostro: tuttavia, poichè sarebbe poco elegante nella civiltà evoluta ingaggiare forme di rifiuto, sta diffondendosi una sorta di pluralismo culturale decantato da una specie di accettazione senza confini delle differenze; tale linea strategica, definita multiculturale, presenta una valenza sociopolitica che implica due principi: la tolleranza, concetto già riduttivo in quanto implica una generosa concessione, e il riconoscimento alle comunità di autoaffermarsi. Non è questo il tentativo di ridefinire le ineguaglianze? La multiculturalità come dogma potrebbe diventare una grande operazione per sedare la colpa morale affermando che l’ineguaglianza fra gli uomini sta in una sorta di ineluttabilità che dobbiamo imparare ad accettare; ma l’accettare non racchiude in sé già il concetto di qualcosa di negativo? Si accetta ciò che non si può cambiare, ma che cambiare si vorrebbe. Nasce il pericolo o il comodo della indifferenza dove emettere giudizi non vale la pena, come ancora Bauman dice “… trattiamo il mondo come un gigantesco grande magazzino con scaffali colmi delle offerte più svariate, sentiamoci liberi di girovagare da un piano all’altro, di provare e gustare ogni articolo in esposizione, di prenderli a nostro piacimento. E’ un atteggiamento tipico di persone in viaggio, in viaggio anche quando stanno fermi, nelle loro case o nei loro uffici” (4, p.95). Ma l’essenza e la salute della vita di un gruppo risiedono nella capacità di fare interagire e non solo coesistere, delle pluralità che, non dimenticando le aspirazioni e i desideri dei singoli, trovano il loro compimento nel sentimento sociale. Adler afferma che ” La psicologia individuale ha spiegato chiaramente questa interazione tra le tendenze di potere negli individui e nei gruppi. …L’uomo pensa, sente e vuole comformemente alla sua aspirazione alla superiorità e anche là dove egli crede di servire ideali più elevati, deve fare i conti con l’inevitabile presenza delle richieste sociali” (2, p.507). Lo straniero con la sua presenza e metafora interna ed esterna a noi richiama alla coerenza, alla coesione, alla reciprocità che trova le proprie basi nella compartecipazione emotiva e culturale. Secondo il pensiero adleriano il nostro agire verrà storicamente valutato sulla scala graduale del sentimento sociale che è stato agito; solamente le azioni che abbiano la finalità di promuovere il bene di tutti sono degne di significato e di valore. Dare patria allo straniero è un antidoto alla nostra inadeguatezza interna che fa evolvere e maturare un atteggiamento esterno contro la segregazione etnica, confessionale e linguistica nella comunione dei compiti vitali dell’amore, del lavoro e delle relazioni sociali. Il modo di pensare dell’individualpsicologia è di tipo divergente, coltiva l’immaginario, trova la soluzione al conflitto per una naturale vicinanza a chi è simile a noi, ma soprattutto è un baluardo al sorgere del pensiero unico che narcotizza dolcemente, con mezzi mediatici, la comunità, anche la più attenta e vigile, sostituendo e rimpiazzando i diritti sociali con i doveri individuali. Il sentimento sociale è una sentinella affinchè la cultura di un gruppo non debba trasformarsi in una città murata che costringe i propri cittadini a difendersi dall’estraneo, la sicurezza infatti abita in un atteggiamento di dubbio quotidiano in cui le problematiche delle diversità sono occasione di ricerca, di cammino, di riprova costante del fatto che dove esiste traccia umana c’è sempre la possibilità di una speranza. Lo straniero, come simbolo, definisce contemporaneamente il luogo e il tempo dello sviluppo del sentimento sociale sia nel percorso psicoterapeutico sia in quello pedagogico e sociale. In ambito clinico si posiziona la distanza del nevrotico verso la via della relazione con la prossimità, nel sociale si verifica il crescere della politica a scapito del potere, nell’educare si evita la corsa del bambino viziato ricco di cose, ma vuoto di idee. La paura dell’altro è la paura della nostra inferiorità fossilizzata che, lo straniero rimette in circolo attivando il Sè creativo che attua, nelle forme più svariate, la nostra inesorabile doppia appartenenza: a noi stessi e alla comunità umana. Bibliografia Adler, A., (1927), Menschenkenntnis, in Ansbacher, H. L., Ansbacher, R.R. (1956), The Individual Psychology of Alfred Adler, tr. it. La Psicologia Individuale di Alfred Adler, Martinelli, Firenze 1997. Adler, A., (1918), Bolschewismus und Seelenkund, in Ansbacher H. L., Ansbacher, R.R., (1956), The Individual Psychology of Alfred Adler, tr.it. La Psicologia Individuale di Alfred Adler, Martinelli Firenze 1997. Bauman, Z., (2001), Missing Community, tr. it. Voglia di comunità, Laterza, Bari 2004. Bauman, Z., (2003), Intervista sull’identità. (a cura di B. Vecchi), Laterza, Bari. Cacciari, M., (2004), Della cosa ultima, Laterza, Bari. Furtmuller, C., (1912), Psychoanalyse und Ethik, in Ansbacher, H. L., Ansbacher, R.R., (1956), The Individual Psycology of Alfred Adler, tr. it. La Psicologia Individuale di Alfred Adler, Martinelli Firenze 1997.

Levinas, E., (1963), Difficile Liberté. Essai sur le judaisme, tr. it. Difficile libertà. Saggi sul giudaismo, La Scuola, Brescia 1986.

 

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