IAIP – Internacional Association of Individual Psychology

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23th Congress of the International Association of Individual Psychology
IL VALORE DELLA RICERCA NELLA DIMENSIONE CLINICO-ORGANIZZATIVA DEI SERVIZI. ANALISI DEGLI ESITI DEI TRATTAMENTI IN 1339 PAZIENTI CON DISTURBO DA USO DI ALCOOL THE RESEARCH VALUE IN THE CLINICAL-ORGANI
Giovanni Galimberti Andrea Piacentini Biagio Sanfilippo Via Aselli, 32 – 20133 Milano (Italy) e-mail [email protected] ABSTRACT The public services which deal with issues characterized by chronicity often risk getting chronic themselves and losing sight of the meaning of them own work; in this way public services tend to flatten in positions of preservation without working for further aims and achievements. The clinical experience in the treatment of the alcohol abuse and dependence allowed us to notice that in the last few years the patients who take advantage of the alcoholic services have very different features from the past. In particular we point out the polyabuses and/or the polydependences and patients with SAMI (Substance Abuse and Mental Illness/ Psychiatric Comorbidity). Those new types of users require a review of the achievements of both the services and the individual operator about different matters (scientific knowledge of each professionalism, organization of the alcoholic service, its strategic position in the whole universe of public services). Even in our sphere the work “doesn’t respect the rules” and it’s not predetermined but, instead, it requires a different solution for each case, mostly when the needs and necessities to which we have to give effective therapeutical answers present an high variability and a great complexity and require many specializations. As a matter of fact, the multifactorial approach (a biological, psychological and social one) in diagnosing the desease caused by the use of substances requires monitoring continuosly the concrete need of the patients and adjusting the therapeutical and rehabilitational instruments of which the operators dispose. This research inquires into those two ambits by a careful definition of the types of users of four different alcoholic public services and by an evaluation of the adequacy of the treatments. Introduzione I Nuclei Operativi di Alcologia (NOA) sono nella Regione Lombardia i Servizi pubblici deputati alla prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione dell’alcolismo e operano all’interno del Dipartimento delle Dipendenze. I Servizi che si occupano di problematiche , che hanno in sé le caratteristiche della cronicità, spesso rischiano di cronicizzarsi a loro volta e di perdere di vista il senso del proprio intervento, appiattendosi su posizioni di “mantenimento” senza più lavorare per obiettivi, come previsto per ogni buona pratica clinica. Tale atteggiamento espone a una serie di problemi, uno tra questi è quello di non misurare più il proprio lavoro, quindi non valutare in termini di efficacia i propri interventi. Ciò conduce all’autoreferenza che, oltre a non permettere una crescita culturale degli operatori, fa perdere di vista i reali bisogni dell’utenza e la costruzione di innovative modalità di intervento che offrano sempre maggiori possibilità di cura ai pazienti. L’altro grave problema legato a questa criticità, o comunque alla carenza di analisi del proprio lavoro, è l’isolamento dal “mondo”, reso visibile dall’evitamento del confronto che rischia di mortificare la scientificità della nostra tipologia d’intervento. Di conseguenza i fenomeni di cambiamento che hanno caratterizzato il nostro settore rischiano di essere subiti piuttosto che studiati e anticipati. L’attenzione verso la clinica viene in parte sacrificata dagli aspetti gestionali ed economici che in questi anni vengono posti come priorità assoluta e condizionano pesantemente le risorse dedicate ai Servizi. Si profila la necessità inderogabile di produrre dati e informazioni rispetto al proprio operare che oltre a essere un adempimento dovrà costituire l’occasione per ripensare il lavoro. Questa è stata l’esperienza degli operatori partecipanti al presente studio. La pratica clinica del trattamento dell’abuso e della dipendenza da alcol ci ha permesso di rilevare nel corso di questi ultimi anni che i pazienti afferenti ai servizi alcologici presentano caratteristiche significativamente diverse rispetto al passato. In particolare segnaliamo i poliabusatori e/o polidipendenti e i pazienti con comorbidità psichiatrica. Per questi ultimi non è stato considerato il rapporto cronologico e clinico tra assunzione di alcolici e manifestazione psicopatologica. Queste nuove tipologie di utenza, si è notato, richiedono, sempre più frequentemente, una rideterminazione degli obiettivi sia del Servizio che del singolo operatore su più dimensioni (sapere scientifico delle singole professionalità, organizzazione del Servizio, posizione strategica del Servizio nell’universo dei Servizi). Anche nel nostro ambito il lavoro non è “a norma”, predeterminato, ma anzi richiede una soluzione diversa per ogni caso, soprattutto quando, come oggi, i bisogni e le necessità a cui dare risposte terapeutiche efficaci presentano un’elevata variabilità e complessità e richiedono altrettante specializzazioni. L’approccio multidimensionale (bio-psico-sociale) nel porre diagnosi di Disturbo da uso di sostanze in genere, infatti, richiede un costante monitoraggio di quelle che sono le necessità concrete dell’utenza e un adeguamento degli strumenti terapeutico-riabilitativi a disposizione degli operatori. Questo lavoro di ricerca, che ha coinvolto quattro Nuclei Operativi di Alcologia (NOA), si propone di indagare entrambi questi due aspetti attraverso una puntuale definizione della tipologia dell’utenza che afferisce ai Servizi alcologici e valutando la congruità dei trattamenti. Metodologia della ricerca Lo studio include quattro N.O.A. e analizza tutti i nuovi utenti (1339) presentatisi nel periodo 01.01.1995 – 31.12.2001. L’osservazione si compone di due periodi, il primo prende in considerazione i nuovi pazienti che si sono presentati ai servizi dallo 01.01.1995 al 31.12.1998 (714 pz.) con end-point al 31.12.2000, mentre il secondo periodo è compreso tra lo 01.01.1999 e il 31.12.2001 (625 pz.) con end-poin al 31.12.2003, ne consegue che il periodo di follow-up è diverso nei pazienti essendo compreso fra i due e al massimo i sei anni (prima osservazione: minimo due anni, massimo sei – seconda osservazione: minimo due anni, massimo cinque). I risultati ottenuti con il primo studio consigliavano di monitorare ulteriormente il fenomeno (tipologia dell’utenza, tipi di trattamento e suoi esiti) a fronte di una metodologia di intervento terapeutico-riabilitativo sempre più rispondente ai bisogni dell’utenza. I dati che qui riportiamo riguardano essenzialmente l’intera popolazione dei 1339 utenti; l’articolazione dello studio e la numerosità del campione ci ha permesso inoltre di confrontare sia i dati dei singoli servizi, sia il primo periodo di osservazione vs il secondo. Materiale Si utilizza una scheda di rilevazione delle caratteristiche degli utenti e del loro follow up, dove oltre ai dati socio-anagrafici si raccolgono la diagnosi alcologica e psicopatologica secondo i criteri del DSM IV, le patologie organiche alcol-correlate, la modalità di presentazione, l’inizio, la durata del trattamento e il suo esito (ancora in trattamento, perso di vista e trattamento completato) e infine il follow up trimestrale dalla presa in carico con annotati gli specifici trattamenti (medico/farmacologico, psicoterapeutico e di counseling e socio-riabilitativo). Obiettivi rilevare, attraverso un’analisi descrittiva dei dati, le caratteristiche dell’utenza per valutare se e come cambia la tipologia di questi pazienti; rilevare, sulla base di un modello logistico, i determinanti del rischio di abbandono a breve termine (prima dell’entrata in trattamento); valutare, attraverso l’analisi della sopravvivenza, l’esito del trattamento per quei soggetti che hanno aderito al progetto terapeutico-riabilitativo proposto e/o concordato, in particolare evidenziando quelle variabili che sono risultate fortemente penalizzanti in termini di probabilità di adesione al programma (i predittori dell’insuccesso ossia dell’abbandono del trattamento); individuare i rischi relativi di uscire dal trattamento, ottenuti sulla base del modello di Cox. Caratteristiche socio-anagrafiche degli utenti Le persone che hanno contattato i NOA di Sesto San Giovanni, Seregno, Vimercate e Gorgonzola nel periodo tra l’1/01/1995 e il 31/12/2001 sono state 1339. Il loro profilo medio è di un individuo di circa 44 anni (più giovani gli uomini rispetto alle donne), di sesso maschile (75.1%), coniugato (48.5%), convivente con partner e/o figli (56.8%), con il titolo di scuola media inferiore (49.2%) e con occupazione stabile (54.4%) (Tab. 1). L’invio al centro viene effettuato essenzialmente da un servizio sanitario e/o sociale, all’interno dell’altra quota di invianti spiccano i familiari e l’iniziativa personale. Più della metà dei pazienti sono accompagnati da un familiare o da un non familiare al primo colloquio; infine oltre un terzo degli utenti dichiara di non avere mai avuto esperienze pregresse e/o attuali di trattamento, una quota elevata riferisce di avere avuto un sola esperienza (tab. 2). Patologie alcol-correlate Tra i pazienti il 24.5% dei casi non presenta alcuna patologia alcolcorrelata sia psichiatrica che organica, il 17.3% presenta solo patologie organiche, il 34.8% solo psichiatriche ed infine il 23.4% entrambe. Nello specifico dai pazienti con patologie organiche (il 40.7% sulla totalità dei 1339 pazienti, si veda l’Appendice A) emerge che il 70.3% ne ha una sola (di cui il 74.7% riguarda l’apparato digerente); il restante 29.7% ha più di una patologia organica dove come prima e seconda troviamo ancora prevalentemente patologie dell’apparato digerente (rispettivamente l’84.0% come prima e il 36.4% come seconda). Riassumendo, la prevalenza di patologie organiche riguardante l’apparato digerente è risultata del 36.0% sul totale dei 1339 pazienti; ancora più nello specifico la prevalenza, sempre sul totale dei pazienti, di patologie epatiche è stata del 27.1%. I pazienti con cirrosi alcolica rappresentano il 9.9% del totale dei pazienti e il 24.2% di quelli con patologie organiche; i pz. con epatopatia rispettivamente il 17.2% e il 42.2%. La percentuale di pazienti che presentano patologia psichiatrica è il 58.2%; entrando nel merito, è emerso che i disturbi di personalità rappresentano il 23.7% della totalità dei pazienti e il 40.8% di coloro che soffrono di disturbi psichiatrici, i disturbi dell’umore il 22.0% e il 37.8%, i disturbi d’ansia l’ 8.8% e il 15.1%, i disturbi psicotici il 3.7% e il 6.3% (tab. 3). Diagnosi alcologica Per quanto concerne la diagnosi alcologica secondo i criteri del DSM IV (tab. 4) è emerso che il 26.4% dei pazienti ha ricevuto diagnosi di abuso di alcol, il 4.8% di dipendenza in remissione, il 3.6% di dipendenza lieve, il 15.5% di dipendenza moderata e il 49.7% di dipendenza grave. Inoltre è stato rilevato che tipo di diagnosi alcologica hanno ricevuto i pazienti con patologie organiche; è emerso che il 22.6% degli abusatori, il 31.2% dei dipendenti lievi, il 42.2% dei dipendenti in remissione, il 36.2% dei dipendenti moderati e il 52.3% dei dipendenti gravi hanno patologie organiche, segno evidente che l’insorgenza di quest’ultime è fortemente legata a una dipendenza grave dall’alcol. Per concludere questo approccio, da un punto di vista statistico, puramente descrittivo, abbiamo messo a confronto la diagnosi alcologica e l’avere una patologia psichiatrica; abbiamo rilevato che circa il 61% sia degli abusatori e sia dei dipendenti gravi presentano disturbi psichiatrici. Poliabuso, Polidipendenza Per quanto concerne il fenomeno del poliabuso e della polidipendenza dei pazienti (tab. 5), la scelta è stata quella di tener conto sia della loro situazione pregressa (antecedente il contatto con il servizio), che di quella attuale (dall’1/01/1995 al 31/12/2001), in quanto è sembrato importante andare a vedere chi era poliabusatore o polidipendente solo in passato e non nel presente e chi invece lo era nel passato è lo è ancora. Queste considerazioni sono dovute principalmente al fatto che l’obiettivo principale dello studio è stato quella di valutare come e se si stia modificando la tipologia dell’utenza in un servizio alcologico, anche in relazione all’abuso di altre sostanze. E’ risaputo, infatti, che buona parte degli ex-tossicodipendenti ricerca nell’alcol gli effetti che gli derivavano dall’uso di sostanze legali e/o illegali; in questi casi è riscontrabile un rapporto individuo-alcol più caratterizzato da aspetti tossicomanici rispetto a chi è sempre stato “solo” un alcolista. Ci sono anche coloro che sono stati poliabusatori o polidipendenti in passato e che lo sono attualmente; questi pazienti rappresentano la tipologia di utenza più difficile da trattare e da tenere agganciata al servizio. Situazione pregressa Entrando nel merito dei dati rilevati (tab.5) emerge che il 25.0% dei pazienti presentava nella situazione antecedente il contatto con il servizio un disturbo di poliabuso o polidipendenza da una o più sostanze; di questi quasi i 2/3 presenta allo stato attuale un comportamento d’abuso/dipendenza. L’analisi dei dati ha consentito di dividere i poliabusotori o polidipendenti in pz. con diagnosi primaria (prevalenza di uso di sostanze legali e/o illegali + alcol) e in pz. con diagnosi secondaria (prevalenza di uso di alcol + sostanze legali e/o illegali). Per quanto concerne quest’aspetto emerge chiaramente che laddove era riscontrata una diagnosi primaria prevale la dipendenza solo da oppiacei (43.1% dei casi), mentre per i pazienti con diagnosi secondaria la caratteristica saliente nel 24.2% dei casi era data dall’abuso solo di psicofarmaci, nel 19.2% dall’abuso solo di thc e nel 16.7% dall’abuso solo di stimolanti (tab. 6 e Appendice A). Questo per dire che una diagnosi primaria era prevalentemente associata a un fenomeno importante quale la dipendenza da oppiacei, mentre la diagnosi secondaria era legata al più “ricorrente” e al meno stigmatizzato degli abusi: quello di psicofarmaci. Situazione attuale Al momento dell’ingresso nel servizio (tab. 5 e Appendice A), i pazienti con poliabuso o polidipendenza sono il 16.5% sul totale dei 1339 pazienti; di questi, l’ 87.8% è costituito dai poliabusatori (la prevalenza di thc è del 48.0%, quella di psicofarmaci è del 33.5%, quella di stimolanti è del 27.6%), e il restante 14.0% dai polidipendenti (le prevalenze più evidenti sono quella di oppiacei (8.1%), quella di psicofarmaci (4.5%) e quella di thc (4.1%)). Di nuovo, a fronte di una diagnosi primaria (l’11.8% del totale dei poliabusatori o polidipendenti), nel 34.6% dei casi in primo piano c’è la dipendenza solo da oppiacei, mentre per i pazienti con diagnosi secondaria (il 88.2% del totale dei poliabusatori o polidipendenti) la caratteristica saliente nel 30.3% dei casi è data dall’abuso solo di thc, nel 26.1% dall’abuso solo di psicofarmaci e nel 12.3% dall’abuso solo di stimolanti. E’ sembrato anche interessante andare a rilevare, proprio per il discorso fatto in precedenza, la numerosità di coloro che avevano e che hanno mantenuto un poliabuso o una polidipendenza; è emerso che il 96.4% dei poliabusatori o polidipendenti “attuali” lo erano anche in passato (per i pazienti con diagnosi secondaria questa è rimasta tale, per i pazienti con diagnosi primaria in un 1/3 dei casi la situazione è rimasta tale e nei rimanenti 2/3 la diagnosi è diventata secondaria), ossia il 63.6% dei poliabusatori o polidipendenti pregressi non ha interrotto, rispetto al periodo antecedente l’ingresso nel servizio, l’uso di sostanze legali e/o illegali. Infine è stata rilevata l’età media dei pazienti poliabusatori o polidipendenti di/a una o più sostanze riscontrando un valore di 34.36 anni (di più di 9 anni inferiore alla età media generale), valore che scende ulteriormente a 32.66 (di 11 anni inferiore) limitando l’attenzione all’uso di sostanze illegali; questi dati sono un segno tangibile del fatto che l’uso di sostanze e in particolare di quelle illegali riguarda soggetti molto più giovani rispetto alla totalità dei pazienti (tab. 6). Esito del trattamento Nel 18.6% dei casi (249 pazienti sui 1339 complessivi) gli operatori non sono giunti alla definizione di un progetto terapeutico-riabilitativo, prevalentemente perché il paziente è stato perso di vista o per rifiuto dello stesso (tab. 7). Dei rimanenti 1090 pazienti per i quali è stato definito il progetto terapeutico-riabilitativo, 183 (16.8%) risultano ancora in trattamento al termine del periodo di osservazione (l’identikit di questi pazienti non presenta differenze sostanziali rispetto a quello precedentemente descritto); nei 907 rimanenti soggetti, 501 (inclusi gli invii ad altri servizi, le emigrazioni e i decessi correlati a un andamento positivo del programma) hanno concluso il trattamento e 406 (inclusi anche i decessi correlati a un andamento negativo del programma) sono stati persi di vista (tab. 8). Viene poi riportata la proporzione di tempo dedicata alle singole tipologie terapeutiche sul tempo totale di trattamento di ogni paziente (grafico 1); in media, per ciascun paziente più di un terzo del periodo è dedicato al trattamento medico-farmacologico e più di un terzo al trattamento psicoterapeutico e di Counseling individuale e familiare. Il 12.0% del tempo viene inoltre dedicato alla frequenza dei gruppi di trattamento gestiti direttamente dai NOA (Appendice B), l’ 8.7% all’intervento socio-riabilitativo, il 4.7% alla frequenza di gruppi di auto-mutuo-aiuto (AA) e poco più del 2% in strutture comunitarie. Determinanti del rischio di abbandono a breve termine Un’ulteriore analisi è stata quella di mettere a confronto i 249 pazienti per cui non è stato definito un programma di trattamento terapeutico-riabilitativo e i 1090 che vi hanno aderito, allo scopo di valutare l’esistenza di eventuali variabili maggiormente associate rispetto ad altre al fenomeno dell’entrata o della non entrata nel programma di trattamento. Attraverso l’utilizzo del test statistico esatto di Fisher sono emersi dati interessanti, che è possibile consultare più approfonditamente nelle tabelle in appendice. I pazienti portatori di entrambe le patologie associate, psichica e organica, più facilmente entrano nei programmi di trattamento (il 90.4%) a differenza di coloro che non soffrono di nessuna delle due, che aderiscono per il 71.3% dei casi (tab. 1, 2 e 3). I pazienti con solo abuso/dipendenza da alcol presentano una quota di “persi di vista a breve termine” maggiore rispetto ai pazienti con associato uso di sostanze legali e non, sia esso pregresso (antecedente il contatto con i servizi) sia attuale (tab. 4). I pazienti che presentano un più compromesso grado di funzionamento psichico più facilmente entrano nei programmi di trattamento (88.6%) (tab. 5). In merito alla variabile della “diagnosi alcologica” risulta che meno facilmente entrano nei programmi di trattamento quei pazienti con diagnosi di dipendenza lieve (~ il 69%) (tab. 6). Lo scopo di arrivare a un modello di regressione logistico è quello di valutare l’esistenza o meno di un’associazione tra alcune variabili esplicative (controllate per l’effetto dell’influenza reciproca) e il fenomeno dell’aderire o non aderire al programma di trattamento. Il modello propone una variabile significativa, vale a dire patologie associate (denominata “Pat_ass”) che ci consente le seguenti considerazioni statisticamente significative (tab. 9): – per un paziente con nessuna patologia che aderisce al programma di trattamento propostogli, ci si aspetta quasi due pazienti con solo patologie psichiatriche che aderiscono – per un paziente con nessuna patologia che aderisce al programma di trattamento propostogli, ci si aspetta due pazienti con solo patologie organiche che aderiscono – per un paziente con nessuna patologia che aderisce al programma di trattamento propostogli, ci si aspetta più di quattro pazienti con sia patologie organiche che psichiatriche che aderiscono – per un paziente con solo patologie organiche o con solo patologie psichiatriche che aderisce al programma di trattamento propostogli, ci si aspetta più due pazienti con sia patologie psichiatriche che organiche che aderiscono I risultati che il modello finale propone sono certamente interessanti per le utili indicazioni inerenti all’organizzazione dei Servizi. Emerge la necessità per i Servizi di acquisire tutti gli strumenti e le opportunità terapeutiche disponibili, oltre ad avere un’adeguata dotazione organica di personale, a perseguire una sempre maggiore integrazione nella rete dei servizi e un’incisiva azione riabilitativa. Analisi della sopravvivenza Un’ulteriore valutazione dei dati, al fine di identificare i potenziali predittori della riuscita del trattamento o dell’insuccesso terapeutico, è stata condotta utilizzando l’analisi della sopravvivenza, perché si è ritenuto che essa potesse essere particolarmente adeguata anche in considerazione del fatto che i pazienti hanno un diverso periodo di osservazione. Infatti essendo i pazienti entrati nello studio in un qualsiasi momento compreso tra il 01/01/1995 e il 31/12/1998 con end-point al 31/12/2000 per il primo periodo di osservazione e tra il 01/01/1999 e il 31/12/2001 con end-point il 31/12/2003 per il secondo periodo di osservazione, ne consegue che il periodo di follow-up è diverso nei pazienti essendo compreso fra i 2 e al massimo i 6 anni. E’ stato considerato un insuccesso l’uscita del paziente dal programma perché perso di vista e considerato come successo la conclusione del trattamento inteso come raggiungimento della sobrietà o della riduzione dell’assunzione di alcol e come miglioramento delle relazioni familiari e sociali. Sul totale dei 907 pazienti per i quali il trattamento ha avuto un esito, si è avuto il 44.8% di insuccessi (406 pazienti) e il 55.2% di successi (501 pazienti). E’ stata valutata la probabilità cumulativa di adesione al trattamento nei 907 pazienti ed è stato rappresentato graficamente l’andamento di tale probabilità cumulativa (grafico 2). E’ interessante osservare che l’abbandono a un anno dall’inizio dell’osservazione è rilevante, infatti si attesta al 41% (adesione al 59%). Negli anni seguenti tale probabilità aumenta, fino a stabilizzarsi dopo circa 4 anni e 2 mesi dall’inizio dell’osservazione con l’abbandono da parte dell’ultimo paziente perso di vista e si mantiene tale fino alla fine del sesto anno, attestandosi al 66%. Il primo anno di trattamento riveste un’importanza eccezionale considerando che durante questo periodo si verifica la quasi totalità degli eventi sia negativi (circa l’85% degli insuccessi) che positivi (circa il 55% dei successi). Si è inoltre proceduto a stimare il tempo mediano di sopravvivenza, inteso come quel valore espresso in giorni dall’inizio del trattamento per cui la probabilità di uscita è inferiore al 50%, quindi si è potuto osservare che prima dei 642 giorni la probabilità di successo è superiore al 50% e che dopo tale soglia scende al di sotto. Sono state prese in considerazione le variabili statisticamente significative, quelle con un valore di p-value < 0.05 (valutate tramite il Log-Rank test, usato per verificare l’accettabilità o il rifiuto dell’ipotesi che le funzioni di sopravvivenza sono le stesse per gli strati in cui è divisa la variabile sotto esame) e sono stati costruiti diversi grafici che comparano i diversi andamenti delle probabilità cumulative di adesione al trattamento nei differenti gruppi di pazienti classificati in base ad alcune caratteristiche. In particolare sono stati presi in considerazione: l’età all’ingresso nel programma, la presenza o meno di occupazione, l’utilizzo o meno di altre sostanze legali e/o illegali nella situazione pregressa o pregressa e attuale, la presenza o meno di patologie psichiatriche e/o utilizzo o meno di altre sostanze legali e/o illegali, la presenza o meno di una o più di una patologia organica alcolcorrelata, e infine la diagnosi di alcolismo secondo il DSM IV. Se si considerano le singole caratteristiche emerge che i pazienti con età maggiore o uguale a 35 anni (che è possibile assumere come l’età critica per il nostro studio) aderiscono di più al programma di trattamento rispetto ai pazienti più giovani (minori di 35 anni) e ciò è evidenziabile già dall’inizio del trattamento (Grafico 3). Questo risultato può essere assunto come soglia tra vecchi e nuovi stili/tendenze di consumo di alcol. Valutando gli andamenti delle probabilità cumulative di adesione al trattamento relative all’occupazione dei pazienti si può osservare che invece il fattore più sfavorevole all’adesione è sicuramente l’essere occupati (Grafico 4). Quest’ultimo dato è in linea con una tipologia d’utenza che sta cambiando; una parte dei pazienti presi in carico necessita frequentemente di forme d’accudimento di tipo socio-assistenziale che in parte il servizio soddisfa. Ai pazienti disoccupati viene infatti proposto attraverso la collaborazione con i servizi sociali dei Comuni e il Privato Sociale, un inserimento lavorativo protetto (tirocini lavorativi, borse lavoro, etc.) ed è forse tale forma d’assistenza che produce una maggiore compliance al trattamento. Un’altra variabile che è risultata statisticamente significativa per predire l’insuccesso del programma terapeutico è l’utilizzo sia nella situazione pregressa che in quella attuale di sostanze legali e/o illegali, si è notato che i pazienti solo alcolisti o con solo un uso pregresso di altre sostanze, escono dal programma con minor frequenza (situazione questa evidenziabile soprattutto da circa il 2° anno dall’inizio del programma) (Grafico 5). Una prima interpretazione riguarda l’inadeguatezza dei servizi a fornire risposte convincenti ai bisogni molteplici che questi pazienti manifestano e che scaturiscono da una dipendenza non ancora risolta; una strategia convincente non dovrebbe prescindere da una più stretta collaborazione tra i servizi alcologici e i Servizi per le tossicodipendenze (Ser.D). Un’integrazione maggiore tra i due servizi dovrebbe produrre una rinnovata strategia d’intervento, i cui percorsi terapeutico-riabilitativi siano più efficaci, al di là della sostanza d’abuso, per indurre cambiamento nella dipendenza. Per quanto concerne l’utilizzo o meno di un pregresso e/o attuale uso di sostanze legali e/o illegali e presenza o meno di un disturbo psichiatrico, non è stata osservata tra le diverse probabilità di adesione una differenza statisticamente significativa (Grafico 6). Si può comunque ritenere rilevante ai fini di questo studio la loro osservazione, infatti ciò che è emerso è che, soprattutto nel lungo periodo, i pazienti con pregresso e/o attuale uso di sostanze legali e/o illegali con associato disturbo psichiatrico sono quelli con la probabilità di uscita più alta rispetto alle altre categorie poste a confronto. Inoltre va sottolineato come nel breve periodo (entro i primi 12 mesi) il gruppo con la più bassa probabilità di adesione al trattamento sia stato quello degli alcolisti con uso di sostanze precedente e/o attuale. Maggiori sono gli elementi di complessità per la presenza di disturbi psicopatologici, e l’intervento più adeguato potrebbe scaturire da una più stretta collaborazione nella gestione di questi pazienti dei tre servizi interessati (NOA, SER.D, DSM). Confrontando i pazienti che hanno più di una patologia organica alcolcorrelata con i pazienti che non hanno patologie organiche o che ne hanno una sola, emerge che i primi hanno una probabilità di adesione al trattamento maggiore rispetto agli altri, mentre era attesa una probabilità di uscita superiore per il gruppo di pz. senza nessuna patologia organica, che spesso giungono all’osservazione senza una sufficiente motivazione (Grafico 7). Per quanto concerne il confronto tra i pazienti classificati in base alle categorie diagnostiche di alcolismo secondo il DSM IV, emerge che i pazienti con dipendenza moderata e quelli con dipendenza grave hanno la probabilità più alta di uscire a un anno dall’inizio dal trattamento e i pazienti con diagnosi di abuso hanno la probabilità più alta di uscire dal trattamento alla fine dell’osservazione. Al contrario, i pazienti con diagnosi di dipendenza lieve e quelli di dipendenza in remissione escono con minor frequenza dal trattamento (Grafico 8). Se può non sorprendere il dato riguardante i dipendenti moderati e i dipendenti gravi (i più frequenti a uscire nei primi 12 mesi), non era atteso quello inerente gli abusatori. I pazienti dipendenti gravi sono difficili da tenere agganciati per il loro forte legame con la sostanza e per il senso di sfiducia che spesso accompagna la loro richiesta. In questi casi la gravità delle condizioni richiederebbe l’utilizzo di strutture alcologiche residenziali, capaci di una presa in carico e di un accudimento (fisico e psicologico) di cui spesso necessitano questi pazienti; purtroppo, non sempre ciò è possibile data la scarsa reperibilità di tali strutture. Il discorso è diverso per gli abusatori perché si tratta di pazienti che hanno scarsa coscienza di malattia; da quanto è stato possibile appurare, i NOA per aumentare l’adesione al trattamento, di questi come degli altri pazienti, organizzano corsi di sensibilizzazione alcologica (educazione sanitaria) rivolti ai pazienti nuovi e ai loro familiari. Rischi relativi di uscire dal trattamento L’ultima analisi statistica che è stata effettuata sui dati di questo studio è il modello di regressione di Cox, che è servito per individuare i rischi relativi di uscire dal trattamento. Le variabili precedentemente valutate attraverso il metodo dell’analisi della sopravvivenza sono state selezionate in base alla loro significatività statistica e al maggiore interesse che esse rivestono, con la finalità di trovare un modello in cui possano emergere i determinanti predittivi del fenomeno dell’abbandono del programma terapeutico-riabilitativo. Esaminando la tabella n° 10 emerge che i rischi relativi di uscire dal trattamento per i pazienti con nessuna patologia organica alcolcorrelata o con una sola patologia sono sovrapponibili. Le due categorie se confrontate con i pazienti con più di una patologia organica presentano un rischio relativo di uscire dal trattamento più di una volta e mezza superiore. L’altra considerazione rilevabile dal modello di Cox si riferisce ai pazienti con diagnosi di abuso, dipendenza moderata, dipendenza grave, i quali hanno un rischio di uscita dal programma più che doppia rispetto a chi è dipendente in remissione; per i dipendenti lievi il rischio è praticamente sovrapponibile a quello dei dipendenti in remissione. In sintesi possiamo affermare che i pazienti che hanno maggior compliance sono quelli che presentano condizioni fisiche compromesse e con problematiche alcologiche meno complesse. Considerazioni sulle differenze emerse nei singoli servizi Come già riferito la ricerca ha coinvolto quattro servizi alcologici della provincia di Milano, dei quali per ubicazione uno (A) è dell’hinterland, pertanto a più alta densità demografica, e i rimanenti tre (B-C-D) più distanti dalla città. Per quanto concerne il rapporto tra pazienti trattati e bacino di utenza, come si rileva dalla tabella di seguito riportata, i primi tre servizi presentano un rapporto più favorevole. Questo dato è probabilmente dovuto al fatto che questi servizi esistono da diversi anni come entità ben definite e differenziate all’interno dei Dipartimenti per le Dipendenze, mentre il quarto a tutto oggi opera all’interno di una struttura Ser.T, con il quale condivide gli spazi e qualche figura professionale. Le caratteristiche socio-anagrafiche degli utenti sono pressoché sovrapponibili per i servizi considerati. Anche per quanto concerne la capacità di agganciare l’utenza non si sono rilevate differenze significative, hanno aderito al programma terapeutico proposto una percentuale compresa tra il 76,4% (servizio B) e l’ 87,9%(servizio D). Si rilevano invece differenze sull’invio dell’utenza, il servizio B ha una percentuale rilevante di invii da parte dei medici di base ( 20.6% vs 4.8%, 12.5%,13.6%); per contro, i servizi A, C e D accolgono una percentuale significativa (34,2%, 27.7%, 30.5% vs 17,5%) di pazienti provenienti dai reparti ospedalieri, compreso il Dipartimento di Salute Mentale. In entrambe le situazioni si raccolgono i frutti di un lavoro di sensibilizzazione verso altri ambiti sanitari, evidentemente diversamente orientato. Un elemento è certo, bisognerà porre attenzione alla posizione strategica dei NOA nell’universo dei servizi, privilegiando per ovvi motivi i medici di Medicina Generale, le Divisioni Ospedaliere (principalmente i Reparti internistici, Pronto Soccorso e SPDC) oltre agli altri servizi socio-sanitari, quali i Servizi Territoriali Psichiatrici, le UONPIA, i Consultori Familiari e chiaramente i Ser.D. La differenza più macroscopica e probabilmente significativa per un’ analisi delle modalità operative dei servizi è data dalla percentuale di utenti ancora in carico all’end point della ricerca e dagli esiti del trattamento, che vengono riportati nella tabella che segue. Il dato aggregato (prima e seconda ricerca) sembra penalizzare soprattutto il servizio B e D (percentuale elevata di pazienti ancora in trattamento e più contenuta dei trattamenti conclusi), servizi che in realtà hanno contribuito a migliorare significativamente i risultati degli esiti del trattamento della seconda ricerca. A tal proposito si rimanda alla tabella 13 del prossimo paragrafo (Primo periodo di osservazione vs secondo periodo di osservazione) dove si rileva un netto miglioramento del dato che passa dal 36.4% al 51.5%. Primo periodo di osservazione vs secondo periodo di osservazione Un ulteriore passo naturale è stato quello di porre a confronto i risultati emersi dalla prima ricerca verso quelli della seconda, cercando di evidenziare eventuali differenze. · Una prima considerazione riguarda l’aumento (dal 24% al 26%) nella proporzione di donne che afferiscono ai Servizi, crescita questa che comunque pare sottostimata confrontando il dato con quanto riportato dalle periodiche rilevazioni dell’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol. · Per quanto concerne la presenza o meno di precedenti e/o attuali trattamenti alcologici, emerge chiaramente un netto incremento (dal 30% al 42%) nella proporzione di pazienti con nessuna esperienza alle spalle. Tra le possibili interpretazioni vi è sia un aumento della sensibilità degli stessi pazienti verso le problematiche connesse all’uso di bevande alcoliche per cui chiedono aiuto “prima che sia troppo tardi”, sia una maggior “visibilità” dei servizi nei confronti del proprio bacino di utenza. In entrambe le ricerche, nei pazienti con una sola tipologia di precedenti e/o attuali trattamenti alcologici, il solo ricovero ospedaliero è risultato essere il più frequente. Nel confronto tra i due dati si è comunque registrato un calo (si è passati dal 75% al 67%) riconducibile anche alla miglior capacità dei Servizi nell’intervenire in maniera più adeguata rispetto al passato nelle situazioni precoci. · Quanto appena detto viene confermato dalla diminuzione osservata nelle proporzioni di pazienti portatori di patologie organiche e/o psichiatriche (per i pazienti con nessuna patologia si è passati dal 19% al 30% e dal 29% al 18% per i soggetti con entrambe). · La popolazione studiata nella seconda ricerca riguardo la diagnosi alcologica effettuata secondo il DSM IV presenta inoltre quasi un terzo (nella precedente circa un quinto) di soggetti abusatori. Negli ultimi anni, quindi, si ha avuto a che fare con soggetti sempre più sensibili al loro problema merito anche degli operatori socio-sanitari invianti sempre più attenti alle problematiche alcolcorrelate. · Nel considerare il fenomeno del poliabuso e della polidipendenza è emerso un aumento nell’assunzione delle sostanze dette ricreazionali (psicostimolanti e thc) a scapito degli psicofarmaci. Una possibile interpretazione è riconducibile anche al calo che si è registrato nell’età media dei soggetti (circa un anno). · E’ sicuramente nell’aver aderito al trattamento e soprattutto nel suo esito che emerge una differenza di tipo macroscopico tra le due ricerche, sia nella diminuzione nella percentuale dei pazienti ancora in carico ai Servizi al termine del relativo follow-up (dal 19% si è passati al 14%), che nel prevalere dei trattamenti conclusi rispetto ai persi di vista, come si evince nella tabella sottostante: # La voce comprende anche 16 pazienti (9 deceduti e 7 che seguono un programma di trattamento non proposto dal servizio) giudicati, per l’osservazione effettuata, come insuccessi ## La voce comprende anche 29 pazienti (13 deceduti e 16 che seguono un programma di trattamento non proposto dal servizio) giudicati, per l’osservazione effettuata, come successi * La voce comprende anche 14 pazienti (12 deceduti e 2 che seguono un programma di trattamento non proposto dal servizio) giudicati, per l’osservazione effettuata, come insuccessi ** La voce comprende anche 18 pazienti (12 deceduti e 6 che seguono un programma di trattamento non proposto dal servizio) giudicati, per l’osservazione effettuata, come successi · Quanto appena detto è verificabile mettendo a confronto le due curve di sopravvivenza, in particolare constatando che nella prima ricerca entro i primi 12 mesi dall’inizio del trattamento si ha quasi il doppio di insuccessi rispetto al numero dei successi (204 vs 120), il tempo mediano di sopravvivenza è di soli 473 giorni (Q1 dopo soli 94) e che la probabilità di aderire al programma diminuisce progressivamente fino a raggiungere il 28%. Di contro la situazione che si verifica nella seconda ricerca è nettamente migliore, i successi superano il numero degli insuccessi anche nei primi 12 mesi dall’inizio del trattamento (158 vs 131), il tempo mediano di sopravvivenza è addirittura di 1255 giorni (Q1 dopo 167) e la probabilità di aderire al programma diminuisce non in maniera così brusca attestandosi intorno al 41%. · La marcata differenza in termini di probabilità di aderire al programma la si ritrova anche nel considerare i risultati del modello di regressione di Cox, in quanto se dalla prima ricerca emergeva che i pazienti con il rischio più alto di uscire dal trattamento erano in particolare gli occupati, con nessuna esperienza pregressa e/o attuale di trattamento e con al massimo una patologia organica, dalla seconda ricerca non emerge alcun predittore dell’insuccesso; evidentemente i servizi riescono meglio a motivare quella fascia di utenza che non presenta ancora un danno conclamato alcol-correlato. Conclusioni Proveremo ora sinteticamente a riassumere ciò che è emerso da questo studio: – più della metà dei pazienti (circa il 59%) giunge ai centri perché inviati da un servizio sanitario e/o sociale (nello specifico: medico di base, pronto soccorso, centro psico sociale, servizi d’assistenza sociale, reparto ospedaliero e altri servizi socio-sanitari dell’Asl); ciò sta a indicare che la rete dei servizi nei territori di competenza dei NOA è soddisfacente, pur dovendo rilevare che il numero dei pazienti inviati dai medici di base è ancora lontano da quanto è lecito attendersi, considerata la diffusione della patologia e il loro ruolo fondamentale in quanto primi artefici della salute dei cittadini e porta di ingresso per i servizi specialistici di secondo livello. Sembra che l’alcolismo non figuri tra le patologie, considerandone la non diagnosi tra i primi depositari della nostra salute. Probabilmente il fatto è che, trattando di alcol e della sua assunzione, pochi medici riescono ad essere obiettivi e ad affrontare con la dovuta scientificità e coerenza intellettuale questa problematica, visto che anch’essi sono perlopiù assuntori abituali. Dallo studio “Drink less” promosso dall’O.M.S. che valuta l’opinione dei medici di base sulla prevenzione delle problematiche alcolcorrelate è emerso che per i medici di Medicina generale italiani la percezione che l’alcol rappresenta un fattore di rischio per la salute della persone non è molto elevata, o almeno lo è meno rispetto ad altri comportamenti in cui le politiche sociali hanno già molto investito attraverso campagne informative. Inoltre i medici di Medicina generale riferiscono di avere un atteggiamento di inadeguatezza verso un intervento efficace con i bevitori problematici e con gli etilisti, principalmente a causa di politiche sanitarie “distratte” e della carenza di occasioni formative specifiche. Riteniamo che l’introduzione dell’insegnamento della materia in ambito universitario, come è previsto dalla nuova Legge n. 125 del 2001, sia un traguardo importante per la formazione dei futuri medici; mentre su chi già opera, crediamo sia inderogabile l’inserimento di programmi di aggiornamento in tema di alcoldipendenza nell’ambito della formazione obbligatoria. – il 44% dei pazienti si presentano soli al primo colloquio – il 64% dei pazienti ha avuto esperienze pregresse e/o attuali di trattamento alcologico; ciò conferma che si è di fronte a una patologia ad andamento cronico e recidivante – il 23% dei pz. presenta in associazione patologie psichiatriche e organiche alcolcorrelate. Osservando i dati emersi riguardanti nello specifico le patologie organiche viene confermata la correlazione tra alcol e patologie a carico dell’apparato digerente e in particolare del fegato. – Quasi 6 pazienti su 10 presentano patologia psichiatrica; il disturbo più frequente è risultato quello di personalità, seguito da quello dell’umore e da quello d’ansia. Riguardo al fenomeno del poliabuso o della polidipendenza nella situazione antecedente il contatto con i servizi, i pazienti poliabusatori o polidipendenti erano il 25.0% sul totale, e di questi, il 63.6% (il 15.9% dei 1339 pazienti) ha mantenuto l’uso di sostanze legali e/o illegali anche al momento della fase d’accoglienza. Questo è un fenomeno nuovo per i servizi d’alcologia abituati a una tipologia di paziente di età superiore ai 50 anni, ben inserito nel contesto sociale e lavorativo e il cui abuso riguarda esclusivamente l’alcol. La tendenza che si va affermando è quella di un calo dell’età , nel presente studio l’età media è di quasi 44 anni, e di una forte incidenza dell’abuso alcolico associato all’abuso d’altre sostanze. La popolazione che presenta questo comportamento ha un’età media ancora inferiore che si attesta intorno ai 33 anni se limitiamo l’attenzione all’uso di sostanze illegali. L’osservazione clinica suggerisce un trend in costante aumento, che inevitabilmente incide sull’operatività dei servizi e sulla loro funzionalità; di grande importanza è il continuo monitoraggio della tipologia dell’utenza, i Dipartimenti delle Dipendenze attraverso l’osservatorio epidemiologico dovrebbero svolgere anche tale funzione. Ciò consentirebbe di affrontare i cambiamenti in maniera organizzata e puntuale, evitando di inseguire gli stessi, con il risultato di essere sempre e fatalmente in ritardo sui bisogni dei pazienti. Il fenomeno del poliabuso e della polidipendenza radicalizza i fattori di dipendenza psicologica oltre a contribuire a un maggior deterioramento sul piano organico. La compromissione funzionale rende sul piano clinico il rapporto col paziente alquanto difficoltoso e impegnativo richiedendo costanti sinergie con altri Servizi (SER.D e Servizio Psichiatrico). – Dalla diagnosi alcologica secondo i criteri del DSM IV emerge che nella popolazione studiata quasi i 2/3 dei pazienti presenta una dipendenza moderata o grave a conferma di un rapporto con l’alcol duraturo nel tempo e ingravescente. Accanto ai 2/3 sopra citati, è rilevabile più di un 26% di abusatori, dato questo che può essere interpretato come una maggior sensibilità sia dei pazienti rispetto al loro problema, che degli operatori socio-sanitari invianti più attenti alle problematiche alcolcorrelate. E’ nostra convinzione che la presenza dei Servizi Alcologici nel tempo abbia favorito una maggior sensibilità negli operatori socio-sanitari di contemplare anche l’alcolismo come una patologia diffusa e degna di cura; analogamente per la popolazione in generale si introduce l’idea di potersi rivolgere a un Servizio apposito prima che il problema assuma connotati drammatici di urgenza. Considerando i 1339 pazienti che hanno contattato i servizi tra l’1/01/1995 e il 31/12/2001, nel 18.6% dei casi gli operatori non hanno definito un progetto terapeutico, prevalentemente perché il paziente è stato perso di vista o per rifiuto dello stesso; dei 1090 pz. entrati in trattamento 501 lo hanno concluso (46.0%), 406 sono stati persi di vista (37.2%) e 183 (16.8%) sono ancora in trattamento all’end-point del follow-up. I dati riguardanti la proporzione di tempo dedicata alle singole tipologie terapeutiche sul tempo totale di trattamento di ogni paziente, presentano una distribuzione omogenea tra le componenti terapeutiche-riabilitative di cui sono dotati i servizi (competenza medica, psicologica, educativa e socio-riabilitativa). Assicurare una buona dotazione organica ai Servizi, unitamente ad adeguate competenze professionali è una garanzia per ottenere buoni risultati. La storia dei Servizi ci ha insegnato che l’offerta favorisce l’affiorare della domanda e l’esito dei trattamenti è influenzato da almeno due fattori, quello organizzativo e quello strategico. Come già riportato più volte, è emerso che sia la quasi totalità degli insuccessi che buona parte dei successi sono eventi che si verificano entro i primi 12 mesi dall’inizio del programma. Questo ci porta a riflettere sul fatto che una fase importante nel trattamento dell’alcolismo è la capacità di instaurare una relazione significativa con il paziente. E’ nei primi mesi di rapporto con l’utente che si gioca questa possibilità, tanto che una grande quota di interruzioni o abbandoni avviene già dopo pochi incontri. Il significato clinico desumibile è la delicatezza e l’importanza della fase di accoglienza e dell’aggancio del paziente. Gli operatori, durante i primi colloqui, devono trasmettere agli utenti una sensazione di accoglimento e non di giudizio; devono essere in grado di stimolare una riflessione sulla condizione di dipendenza dalla sostanza e sull’influenza che tale condizione esercita sulla vita familiare e sociale del soggetto, oltre che sulle possibili implicazioni medico-sanitarie correlate. E’ inoltre importante che gli operatori sappiano risvegliare degli interessi, stimolare un miglioramento della salute e del benessere nei soggetti che si recano per la prima volta al servizio e che sappiano incrementare o generare ex novo una richiesta di aiuto da parte dei pazienti, specialmente in coloro che non giungono volontariamente al centro. Questa delicata fase viene definita motivazionale, essendo l’induzione delle motivazioni al trattamento il primo obiettivo degli operatori. Alcuni dati posti in rilievo nel presente studio sono stati evidenziati anche dalla ricerca realizzata dal gruppo epidemiologico della società italiana di alcologia Progetto ASSALT sulla valutazione del trattamento dell’alcolismo. Una conferma della tendenza sopra descritta la ritroviamo nell’analisi della sopravvivenza, in quanto a un anno dall’inizio del programma la probabilità di adesione è ancora superiore al 50% per poi scendere al 34% entro la fine del periodo d’osservazione. Dal modello logistico (tab. 9), emerge che i pazienti compromessi da un punto di vista organico e psichiatrico, hanno una maggiore probabilità di entrare nel programma, rispetto alle altre categorie prese in esame. Dal modello di Cox (tab. 10) si rileva che gli utenti con il rischio più basso di uscire dal trattamento sono i pazienti che presentano condizioni fisiche compromesse e con problematiche alcologiche meno complesse. L’analisi specifica sui quatto servizi coinvolti nella ricerca ha permesso alcune considerazioni interessanti. Abbiamo rilevato che i servizi alcologici ben strutturati e organizzati in autonomia, all’interno dei Dipartimenti delle Dipendenze, presentano notevoli margini di crescita in termini di efficacia ed efficienza. La disomogeneità dei risultati nei quattro NOA, che utilizzano modalità di lavoro simili, è riconducibile essenzialmente ad aspetti organizzativi, in particolare agli andamenti della dotazione organica non sempre assicurata. L’approccio multidisciplinare integrato e multidimensionale (bio-psico-sociale) può essere garantito solo quando tutte le professionalità necessarie al gruppo di lavoro sono presenti. La mancanza anche di una sola figura non può essere considerata come mera sottrazione algebrica poiché condiziona pesantemente il processo di cura. Dal confronto tra la prima osservazione (1995/1998) e la seconda (1999/2001) il dato saliente risulta essere quello riferito agli esiti del trattamento. Tutti gli indicatori migliorano significativamente e si osserva nello specifico una diminuzione percentuale dei pazienti ancora in trattamento, una diminuzione sempre percentuale dei pazienti persi di vista e un notevole incremento dei trattamenti conclusi positivamente. Ringraziamenti In conclusione, ringraziamo i colleghi che hanno contribuito a questo lavoro di ricerca; con loro concordiamo nel ritenere questa esperienza molto formativa, non solo per l’opportunità che ognuno di noi ha avuto di ripensare al proprio lavoro ma anche per gli ampi spazi di confronto e riflessione che hanno caratterizzato i periodici incontri tra i servizi. Sempre più spesso negli ultimi tempi ci troviamo a produrre dati specialmente di pertinenza economico-gestionale, sacrificando gli aspetti di interesse clinico in cui al centro dell’attenzione c’è il paziente. Un ringraziamento particolare, infine, al Prof. Giovanni Corrao dell’Università degli Studi di Milano Bicocca per il continuo sostegno e per averci fornito utili consigli sulla metodologia applicata. Bibliografia · American Psychiatric Association: Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali DSM IV Masson 1996 · Bland J, Altman DG.: The odds ratio. BMJ 2000; 320:1468 · Commissione ASSALT del gruppo epidemiologico della società italiana di alcologia. La valutazione del trattamento dell’alcolismo: il progetto ASSALT. In Alcologia suppl. volume XIII n.1 gennaio-aprile 2001, eurohealth editors, p.17-35 · Harrel FE, Lee KL, Mark DB.: Multivariable prognostic models: issues in developing models, evaluating assumptions and adequacy, and measuring and reducing errors. Statistics in Medicine 1996:15:361-387 · Hatcher, Larry & Stepanski, Edward J.: A step-by-step approach to using the SAS system for Univariate and Multivariate Statistics, Cary, NC: SAS Institute Inc., 1994 · Hosmer DW, Lemeshow S.: Applied logistic regression, 2d ed. New York: John Wiley & Sons, 2000 · Kleinbaum, David G. : Survival analysis – a self-learning text – 1996 · L. n. 125/2001 Legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati. G.U. n. 90 del 18 Aprile 2001 · Lee, Elisa T., John Wenyu Wang: Statistical methods for survival data analysis 3rd ed 2003 · Legge Regionale n° 61, 12/12/97. Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario regionale per il triennio 97-99.

· Osservatorio Permanente sui giovani e l’alcool. Gli italiani e l

 

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