IAIP – Internacional Association of Individual Psychology

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23th Congress of the International Association of Individual Psychology
L’UTILIZZO POSITIVO DELLE ALLEANZE DI POTERE PER CRESCERE
Dott. Guido Fulcheri Dott.ssa Liliana Bo Secondo Alfred Adler il potere per essere considerato positivo deve essere sostenuto dal sentimento sociale. Se quest’ultimo manca oppure è insufficiente, siamo allora in presenza di una compensazione nevrotica che porta l’individuo a ricercare il potere per motivazioni egoistiche e non per il bene della collettività. Una riflessione tipica della psicologia positiva, è quella in cui si cerca di capire se cooperare, collaborare ed essere altruisti sono predisposizioni istintive, sociali o spirituali. Il XX secolo appena trascorso è stato testimone di eventi storici, caratterizzati dall’utilizzo assoluto del potere, che hanno segnato uno svolta decisiva nella sorte politica e sociale di intere nazioni, con un’influenza molto forte sulla sorte dei singoli cittadini. Ogni relazione basata sul potere, specialmente quando è continuativa, trova la sua base di legittimazione, in altre parole una giustificazione che consente sia a chi comanda e sia a chi ubbidisce di considerare il potere come legittimo. Il potere, quando è o appare legittimo, è definito autorità. Secondo Max Weber l’autorità non è altro che un potere consolidato che si basa su usanze e valori che lo confermano ed nel capitolo del testo “Economia e Società” intitolato la “Sociologia del Potere”, descrive il potere come “la possibilità a seguito di specifici comandi (oppure per ogni comando di qualsivoglia natura) di ottenere l’obbedienza da uno specifico gruppo di persone”. La nascita e la caduta del nazismo, l’espansione della dittatura comunista su numerose nazioni dell’Europa centro-orientale, la diffusione del marxismo in altre nazioni dell’Europa, dell’Africa, dell’America Latina e dell’Asia, sono state tutte espressioni di un utilizzo egoistico e distruttivo del potere che non ha tenuto conto del bene della collettività. Inoltre il passaggio tra il XX ed il XXI secolo è stato contrassegnato dal funesto dilagare del terrorismo, di cui l’abbattimento delle torri gemelle di New York ne ha rappresentato l’espressione più impressionante del nuovo secolo. Dall’ultimo ventennio del secolo scorso abbiamo assistito alla nascita di ulteriori e differenti forme di potere, rappresentate dalle possibilità di automanipolazione che consente all’uomo di creare se stesso, dal potere dei Media che possono creare e distruggere con facilità l’essere umano, dal potere del successo individuale che talvolta sfrutta la collettività esclusivamente come palcoscenico per potere meglio rappresentare se stesso. Viene spontaneo chiedersi perché l’essere umano che, a partire dal secolo scorso ha avuto grandi opportunità di crescita ha utilizzato in modo tanto distruttivo il suo potere. Considerando il fenomeno secondo i presupposti della Psicologia Individuale, possiamo affermare che la spinta all’ideale di superiorità non è stata adeguatamente sorretta dal sentimento sociale, che secondo Adler è un’attitudine innata attraverso la quale l’individuo diventa sensibile alla realtà che, fondamentalmente è la realtà sociale. [Il senso d’inferiorità in cui nasce e cresce il bambino agisce in lui come stimolo costante a trovare un compen so che gli garantisca adattamento all’ambiente e sicurezza di vita e di azione. Egli finge così dei punti fissi che in realtà non esistono ma che gli servono per aggrapparsi e salire. Sono essi che danno continuità alla sua linea di condotta e al suo stile di vita. La ricerca istintiva del com penso anzi punta più in là del necessario, ad un super compenso, a motivo della precarietà e dell’instabilità delle prospettive del futuro. L’uomo così è pungolato dall’istin to di valere e di potere, che può degenerare nella pre potenza se non è opportunamente inserito nella società e accordato colle esigenze che ne derivano.] ALFRED ADLER (1) Che l’uomo sia primariamente un essere sociale fu ribadito più volte e Il suo bi­sogno di appartenenza e di partecipazione, che nella sua più pura realizzazione fu chiamato da Adler “il sentimento sociale” è stato fatto oggetto di attenta analisi da parte della psicologia individuale. “Senti mento sociale” non significa la paura di conflitti o addirittura la negazione di essi, ma “dedizione per principio, la quale è comprensibile come contatto, vicinanza e apertura al mondo, alla vita e ai propri simili”. (2) E’ questo lo scopo di ogni sviluppo umano. Il sentimento sociale è inoltre non antitetico all’autorealizzazione. Serve i propri simili non colui che s’abbandona sconsideratamente, ma, colui che si dona consapevolmente. (3) La psicologia individuale considera individualità e socialità, autorealizzazione e apertura so ciale, affermazione di sé e dedizione, come realtà che si limi tano a vicenda dialetticamente (4), avvicinandosi così alla concezione di identità della psicologia sociale. [L’uomo singolo per la sua costitutiva insufficienza a vivere in autonomia è necessariamente sottoposto ai con dizionamenti della società, che sono altrettanto cogenti per la sua vita psichica quanto quelli del cosmo per la sua vi ta organica. La sua azione porta dunque sempre l’impron ta della comunità in cui vive, ed è su questa base socio-psicologica che Adler tenta di spiegare l’universalità della scienza, dell’arte, dell’etica e della religione.] ALFRED ADLER (1) Che cosa ha impedito quindi all’uomo di implementare la sua sensibilità sociale? Dall’analisi degli avvenimenti del secolo appena trascorso pare che il sentimento sociale per potersi affermare pienamente abbia necessità di muoversi in un contesto di grave pericolo per la sopravvivenza dell’umanità. Se in un contesto di guerra l’umanità pare riscoprire la dimensione della solidarietà e della collaborazione che la spinge ad unirsi ai suoi simili per fronteggiare un pericolo esterno, perché in un contesto di pace e di benessere economico l’individuo agisce come se fosse onnipotente e potesse fare a meno dei suoi simili? Se, come afferma Adler il sentimento sociale è innato, qual è la causa dell’atrofia del sentimento sociale? Dopo la devastazione delle guerre l’umanità ha dovuto avvalersi della volontà di potenza collettiva per ricostruire: una volontà di potenza però unita al sentimento sociale, che ha permesso di ridisegnare e di riscoprire, almeno in occidente, l’equità e la giustizia sociale. Il raggiungimento del benessere economico che ha contraddistinto l’Occidente negli ultimi decenni del XX secolo, sembra invece avere sviluppato soltanto la volontà di potenza, che ha spinto l’uomo a conquistare in modo egoistico sempre nuove vette, dimentico dei bisogni della collettività. Una tra le possibili risposte potrebbe essere cercata in ambito filosofico, ed in particolar modo nella filosofia occidentale, risalendo alla rivoluzione di pensiero operata da Cartesio con il “cogito ergo sum”. Nel periodo precartesiano il cogito era subordinato all’esse , che era considerato qualcosa di primordiale. Con Cartesio il cogito, il “pensare” assume un ruolo di primo piano, e l’ens cogitans diventa primordiale. Dopo Cartesio la filosofia diventa scienza del puro pensiero, e tutto ciò che è esse rimane nel campo del cogito, come contenuto della coscienza umana. Il bisogno dell’uomo di spiritualità, di trascendenza, viene ridotto ad un’attività di puro pensiero, che trova la sua massima legittimazione nella filosofia illuminista. Anche il concetto di Dio è ridotto ad un’attività di puro pensiero, un’elaborazione dell’intelligenza umana. In questo modo sono crollate le basi della filosofia morale, che consente di operare una distinzione tra bene e male: la percezione del male esiste soltanto se esiste un bene, ed il bene deve avere un significato assoluto, che può essere identificato soltanto in Dio, il Sommo Bene per definizione. Rinnegando la spiritualità, l’essere umano è rimasto solo, solo come creatore della propria storia e della propria civiltà, solo a decidere ciò che è bene e ciò che è male. In quest’ottica egli può anche decidere della vita o della morte di altri esseri umani. Se l’individuo ha sufficiente sentimento sociale cerca sicurezza non a spese di altri, ma collaborando con altri e per il bene di tutti (compensazione del sentimento di inferiorità mediante il sentimento del proprio valore, che nasce dal rispetto e dal riconoscimento di cui s’è fatti oggetto da parte di altri). Se invece l’individuo ha un sentimento sociale inadegua to, ricorrerà a metodi attivamente aggressivi, o passivamente regressivi, per trovare la propria sicurezza dominando su altri (mancanza di compensazione mediante una ricerca nevrotica di potere). Nella prospettiva della psicologia individuale, quindi, ogni ricerca di potere appare come il tentativo sbagliato (spesso inconscio) di compensare un’impotenza di cui si fa esperienza reale (ma che non necessariamente è reale). La ricerca di potere può far ricorso apertamente a comportamenti distruttivi, ma si può anche nascondere, nel qual caso un’impotenza ostentata (infantilismo, subordinazione, malattia, umiltà, suicidio) diven ta lo strumento operativo di un segreto esercizio di potere (5). Il sentimento sociale è inequivocabilmente uno dei valori dominanti dell’adlerismo, tale da costituire un fondamento etico sia in un’analisi sociologica istituzionale , sia nella dimensione terapeutica individuale (8). Come abbiamo detto pocanzi, essendo stato “il sentimento sociale” fatto oggetto di attenta analisi da parte della psicologia individuale, riportiamo di seguito alcune osservazioni degli Ansbacher: “…Il sentimento comunitario non è innato, almeno non come entità pienamente sviluppata, ma lo è come potenzialità che deve essere sviluppata consciamente. Quindi non possiamo fare affidamento sul cosiddetto istinto sociale, poiché la sua manifestazione dipenderà dalla visione o concezione che il bambino ha dell’ambiente…” (6). Sempre Adler afferma :”L’espressione sentimento sociale ha per noi un significato diverso da quello che le attribuiscono altri autori. Non è certo erroneo parlare di sentimento, ma si tratta di qualcosa in più: è un atteggiamento valutativo verso la vita …vedere con gli occhi di un altro, udire con le orecchie di un altro, sentire con il cuore di un altro” (7). Pertanto l’empatia, la cooperazione, il comprendere sono determinanti per forgiare un rapporto armonico con l’universo (8). Per Adler, il nostro modo di vivere quotidiano, di pensare, di agire, essendo legato al sentimento comunitario, è giustificato se universalmente riconosciuto e la sua “voce ammonitrice, irrompe di continuo alla nostra coscienza” (9). Nel capitolo del libro “OTTIMISMO – La risposta della psicologia alla voglia di vivere”, intitolato “Dare un contributo: il senso adleriano della vita”, lo psicologo Pasquale Ionata, ricorda che quando si parla di grandi della psicoanalisi ci si dimentica purtroppo di un autore come Alfred Adler, autentico gigante in fatto di psicologia del servizio e della solidarietà (10). Il coraggio dell’uomo nell’affrontare tutti i problemi della vita può essere traslato nel giudizio seguente: ” La vita significa: interessarmi ai miei simili, essere una parte del tutto, dare il mio contributo al benessere del genere umano”. E’ in questo concetto che noi troviamo il parametro comune a tutti i “significati della vita” sbagliati , e il parametro comune a tutti i veri “significati della vita”. Determinante sarà l’esperienza primaria del bambino con la madre e con l’ambiente in genere a qualificare le future possibilità di alleanze per crescere. Ci sono sempre stati degli uomini i quali sapevano che il significato della vita è quello di interessarsi all’umanità nel suo complesso e cercano di sviluppare l’impegno sociale e l’amore fra gli uomini. In tutte le religioni noi troviamo questa sollecitudine per la salvezza dell’uomo. In tutti i movimenti mondiali più grandi gli uomini hanno lottato per aumentare l’impegno sociale, e la religione rappresenta forse il tentativo più importante per realizzare questo impegno. Ecco che la psicologia individuale scende in campo per sostenere queste verità sulla solidarietà tra gli uomini; scrive Adler: ” Il concetto di virtù deve essere legato alla collaborazione…Il sentimento sociale tende verso forme di collettività da intendersi come eterne, e da immaginarsi come il culmine dello scopo di perfezione dell’umanità”. (10). Quando Adler parla della meta di perfezione dice che “l’anima umana come parte del movimento della vita, è dotata della capacità di partecipare all’elevazione, alla perfezione e al completamento”. Il pensiero di Adler è metafisico, e come tale persegue un obiettivo molto più ampio ed etico. Il sentimento sociale come movimento verso il bene della collettività non può prescindere da contenuti etici e metafisici e deve, attraverso la distinzione fra bene e male, perseguire la verità che porta alla libertà. Bibliografia: (1) Alfred Adler (2) Antoch 1981 (3) Seidenfuss 1981 (4) Sperber 1978 (5) Wolfgang Bartholomaus (6) Ansbacher e Ansbacher 1956 (7) Ansbacher e Ansbacher 1956 (8) C. Ghidoni 2004 (9) Ansbacher e Ansbacher 1956 (10) Pasquale Ionata 1998

 

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