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Potere delle ideologie, ideologie del potere, conoscenza dell’uomo:

il senso della vita

Egidio Ernesto Marasco

Via Santa Maria Valle, 7

20123 Milano

e-mail: [email protected]

Luigi Marasco

Via ammiraglio Simone Saint Bon, 16

20147 Milano

Summary

There are moments in history when different ideologies seem to meet and entwine like threads in a fabric. Each person believes that only his theories can solve the problems in the world and so man sets about using any means, even violence, to put these ideologies into practice in the name of progresso. Along with these ideas, however, the people who support them also gain power. This is why even the noblest religions or humanitarian organizations can be exploited by men who believe in them and are even wilIing to fight for them.

Alfred Adler lived in one of these historical moments, but similar circumstances had already occured in the past and wilI inevitably be repeated again. And so it was, therefore, within this historical/sociological framework that the Psychology of the IndividuaI took on an enormous importance in society. Its great scientific value comes from its knowledge of man but also from the fact that it is apart from any form of ideology. This was experienced by Adler in Vienna after the fall of the Hasburg Empire, with the Horvat group in Trieste before the Second World War and with Parenti in Milan in the 1970s.

The finding of Parenti’s tapes of his lessons from the period has enabled us to see how it alI carne about and also draw some conclusions. Today walIs, legends and ideologies have been destroyed yet there are stilI many practicing teachers, doctors and psychologists whose positions in society were based on those ideologies. These men could leave behind them an emptiness, a ‘weltalnschauung’ inspired only by a short-sighted and sterile sense of neopositivistic, technological efficiency which is still, however, capable of oppressing with its power. For this reason there is a need, now more than ever, that the bright star of a theory on man stilI shines; and that it shines for man and man alone in order to bring back a certain dignity and ability to form creative projects: it is not truth that makes man great but man who makes truth great.

Introduzione

Ci sono momenti della storia in cui varie ideologie si incontrano come si uniscono in nodi più fili nella trama di un tessuto. A ognuno sembra che le proprie teorie possano risolvere ogni problema e, allora, si adopera anche la violenza per permettere il progresso della società dando potere a tali ideologie. Insieme alle idee, però, acquisiscono potere anche le persone che ad esse si ispirano. Per questo anche le più nobili religioni e organizzazioni umanitarie possono essere strumentalizzate dagli uomini che ad esse si ispirano e per esse militano.

Alfred Adler è vissuto in uno di -questi momenti critici della storia, ma situazioni analoghe si erano già più volte presentate e si sono poi ancora ripetute. Proprio in queste cornici la Psicologia Individuale, con il suo grande valore scientifico che le permette una buona conoscenza dell’ uomo, ma anche l’assoluta indipendenza da ogni ideologia, assume enorme importanza per la sua incidenza sulla società. Ciò è avvenuto con Adler, a Vienna, dopo il rovinoso crollo dell’impero asburgico, con il gruppo della Horvat, a Trieste, prima della seconda guerra mondiale e con Parenti, a Milano, negli anni 70.

L’aver ritrovato le registrazioni delle lezioni di Parenti di quegli anni consente di vedere direttamente come ciò si è concretizzato e obbliga ad altre considerazioni: oggi muri, miti e ideologie sono crollati, ma operano ancora professionisti: insegnanti, medici, psicologi che hanno fondato su tali ideologie la loro presenza nella società. Dopo di loro potrebbe restare il vuoto assoluto di una weltalnschauung ispirata solo ad un miope e sterile efficientismo tecnologico neopositivistico, ma comunque in grado di opprimere col suo potere. Per questo è necessario ora, più che mai, che continui a brillare la stella polare di una teoria dell’ uomo che all’ uomo, per se stesso, ridoni dignità e capacità di creativi progetti: non è la verità che fa grande l’uomo, ma l’uomo che fa grande la verità.

Crisi della società, crisi della scuola e delusione postconciliare dei laici

Mai come negli anni sessanta i problemi della scuola hanno inciso su tutta la vita della società italiana: il primo governo Moro cadde per la legge che prevedeva il finanziamento alle scuole private, che spiaceva ai laici e, nel 1966, il secondo governo Moro fu abbattuto dai franchi tiratori democristiani che non volevano l’istituzione della scuola materna pubblica. E questo della confessionalità o laicità dell’istruzione era solo il più piccolo dei problemi della scuola. I suoi grandi problemi erano infatti il diritto allo studio per fasce sempre più ampie della popolazione e, collegata ad esso, la riforma dell’ordinamento scolastico. Tutto ciò avrebbe potuto essere affrontato con il buon senso e l’attenzione per i problemi di tutti del buon pater familias, ma i rigurgiti di una retorica populistica ottocentesca, rinvigoriti dalla contestazione giovanile, portarono, da un lato, ad operare comunque delle riforme e, dall’ altro, ad un ampio dibattito da parte di studenti e docenti nell’ ambito della scuola.

Proprio questa scuola in crisi, però, si apre ad un numero incredibile di ragazzi abolendo ogni selettiva prova all’uscita e all’ingresso di ogni ordine di scuole: l’ esame di maturità diviene per nulla selettivo e, per giunta, ogni facoltà universitaria è di libero accesso per qualsiasi diplomato: l’università che nel 1956-1957 aveva 212 mila iscritti nel 1966-1967 ne avrà 425 mila.

Queste oggettive difficoltà, nate dall’enorme espansione dell’ utenza scolastica in una scuola che, per far fronte a queste nuove esigenze, avrebbe dovuto prima riformarsi, furono particolarmente dibattute in due università le cui realtà, per diversi motivi, si prestarono in modo fino ad allora inimmaginabile a favorire il dibattito sui problemi della scuola e di tutta la società.

La lunga gestazione del Concilio Vaticano secondo aveva ormai partorito il suo topolino. L’abolizione del latino, l’introduzione nella messa di musiche etniche e il vis a vis di sacerdote e fedeli nella celebrazione della messa avevano fatto alzare grida di scandalo, ma il Concilio, in sostanza, non  aveva introdotto le attese riforme: donne e laici rimanevano fuori dalle strutture ecclesiastiche e ciò aveva profondamente deluso le aspettative di compartecipazione all’attività della Chiesa specie di quella massa di studenti che dagli oratori della Brianza e di tutta Italia erano venuti a studiare all’ Università cattolica perché improntato da cattolicesimo doveva essere anche l’apprerndimento della scienza se non la scienza stessa (Gemelli 1914, 1921).

Questo desiderio inappagato di partecipazione, essendo impossibile una contestazione nella Chiesa già contrariata  dai rigurgiti reazionari, fece migrare dalle sacrestie alle aule, ai collegi universitari e a quei cortili riservati alle studentesse in grembiule nero detti “chiostri delle vergini”, dalle celebrazioni religiose e dai consigli pastorali alle lezioni universitarie ed alle associazioni studentesche i laici delusi e tutto il loro desiderio di divenire protagonisti della realtà in cui vivevano.

Dal 1948 il DPR n° 168 prevedeva che nel Consiglio di Amministrazione delle Università facessero parte  tre studenti eletti dall’organismo rappresentativo locale ma, di fatto, tali Organismi rappresentativi  Studenteschi non esistevano. Così il problema dell’aumento vertiginoso delle tasse (per finanziare la crescita della Cattolica) e il connesso problema del diritto alle borse di studio per i meritevoli bisognosi vennero portati nell’assemblea generale degli studenti tenutasi il 27 ottobre 1968 nell’aula Gemelli. A questa seguì la prima occupazione dell’Università a cui, nonostante le repressioni dell’Autorità accademica, ne seguirono altre. Obiettivo di queste lotte restò il diritto allo studio per tutti: sembrava assurdo che solo il 38 per mille  degli iscritti alle elementari  arrivasse alla laurea.

Ben presto il dibattito si allargò alla didattica universitaria con il contributo degli assistenti e dei professori incaricati mentre i professori ordinari difendevano i privilegi delle loro cattedre intesi quasi come titoli nobiliari e svincolati da un effettivo lavoro di docenza: la legge che prevedeva il tempo pieno per loro (=52 ore di insegnamento all’anno!) venne, da loro, fatta bocciare.

Ben presto si crearono collegamenti tra Movimenti studenteschi delle quattro università milanesi ma, in Cattolica almeno, la contestazione mantenne una certa propositività anticipando ad esempio i concetti dell’autonomia e dell’autogoverno universitario che prevedevano corrispondenza tra responsabilità scientifico-didattiche e responsabilità decisionali. 

Su tutti questi temi aprirà il dibattito il ciclo di lezioni di Francesco