Balzano

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STILI DI POTERE, STILI EDUCATIVI E LORO DISTORSIONI

G. Balzano

 Alla sua radice il termine potere ha il significato di “far indirizzare, dirigere”, ogni  struttura organizzata quindi, che sia un’azienda, una scuola o anche un nucleo familiare, ha un suo   peculiare indirizzo che tutti  i membri  sono tenuti a rispettare pena la loro  emarginazione.

L’indirizzo che connota una particolare organizzazione e quindi  il suo stile di potere si mescola necessariamente con la sua dimensione culturale. Così ogni ditta avrà una sua “cultura d’impresa”, ogni famiglia un suo indirizzo culturale, così come, per estensione ogni Nazione.

La dimensione culturale viene descritta dal Prof. Fassino  nel suo ultimo lavoro, come “seconda natura dell’uomo“, concetto che rimarca oltremodo il suo importante ruolo nel dirigere, secondo certi ideali, la  formazione della persona e  l’insorgenza di specifiche distorsioni. 

Nella stesura del nostro libro “Giovani del Terzo Millennio”, si è scoperto, peraltro, come nel corso dei secoli ogni epoca storica è stata connotata dalla ricerca di un peculiare ideale di “Uomo”, ideale che in quelle circostanze veniva considerato il più efficace nel garantire la sopravvivenza e l’affermazione. Questi ideali in buona sostanza hanno poi  influenzato le forme di potere e quindi la  direzione  che doveva  assumere l’attività educativa.

Ad esempio, nell’antica Grecia, culla della nostra civiltà, l’ideale che ha stimolato la formazione e  tutto il modo di vivere di  quel popolo è stato quello erculeo, ideale centrato sul conseguimento di valori come forza, coraggio, destrezza nelle armi, eroismo.

 L’adesione a questo  modello ha poi prodotto in Sparta, forme di potere alquanto rigide e severe che avevano l’obiettivo di formare guerrieri pronti a tutto per difendere la loro Patria. In tal modo l’educazione che veniva impartita ai piccoli spartani appariva molto dura, caratterizzata da un precoce allontanamento dal proprio nucleo familiare e da continui esercizi militari che comprendevano prove di resistenza al freddo, alla fame e anche al dolore. Per questo  venivano anche picchiati senza motivo ed erano chiamati a  condurre violente lotte con bande rivali e a compiere furti su commissione. In quest’ultimi casi, se il giovane  ladro veniva sorpreso,  subiva la violenta punizione del derubato, senza poter usufruire di alcuna forma di difesa.  In questo stile  educativo pertanto, le manifestazioni affettive, così come lo studio di più  delicati argomenti venivano per lo più bandite e  quindi anche  i rapporti con l’altro sesso apparivano  sviluppati con scarsa delicatezza ed  erano tesi essenzialmente alla procreazione.

Questo stile formativo  “spartano” lo si può forse ritrovare ancora oggi in alcune sub-culture, specialmente quelle che connotano le periferie dei grandi agglomerati urbani. Stile che può produrre distorsioni come i disturbi antisociali o quelli paranoici (quest’ultimi collegati alle percezione di un pericolo sempre presente), oppure  del desiderio sessuale, considerata la propensione a sopprimere le  ritenute “deboli” e inferiorizzanti espressioni  sensitive nel legame con l’Altro.

Nella nostra ricerca, quindi, si  è scoperto che l’Essere Umano nel corso dei secoli, sotto la spinta dei propri sensi di  insufficienza, ha  elaborato all’incirca dieci ideali formativi per assicurarsi il proficuo adattamento. Ideali, a cui si legano, come si è detto, più specifiche distorsioni. Come non considerare, ad esempio, la tendenza dei soggetti che aderiscono ad un ideale di tipo religioso a “sentire le voci”, così come in passato aveva fatto Giovanna d’Arco e più recentemente il nuovo Papa che ha  udito la voce di Giovanni Paolo II? O ancora le distorsioni dai contenuti sado-masochistici,  impliciti nello stile autoritario di mussoliniana e superomistica memoria?

Anche il Terzo Millennio appare connotato dalla ricerca di un peculiare ideale, che condiziona la generale crescita dei nostri giovani e le loro forme di disagio.

Questo ideale lo si è individuato nel “vincere la morte”, nel raggiungimento dell’Immortalità.  Tale indirizzo nella sua forma più utile pare produrre un più accentuato interesse per la ricerca scientifica proprio per  rinvenire  farmaci o altri strumenti che ci  garantiscano appunto una vita più lunga e senza dolori, ma nelle sue  modalità più  improduttive, in cui le nostre inferiorità sono disconosciute,  questa linea direttrice, produce distorsioni ancora più  gravi.

I disturbi borderline e quelli narcisistici, attualmente in aumento, possono  apparire pertanto, tangibile espressione di questo spirito dei tempi. 

In questi disturbi difatti, come ci dicono Rovera e Pagani la volontà di potenza è distorta, compaiono supercompensazioni e deleteri complessi di superiorità nonché significativo impoverimento del sentimento sociale nelle sue forme di appartenenza e cooperazione, che in alcuni casi confluisce proprio in un deciso rifiuto della logica consensuale.

In un loro  scritto del 1996, Ferrero, Fassino e Rovera attribuiscono l’insorgenza di queste distorsioni ai “gravi sentimenti di inferiorità di primo tipo, dovuti alla mancata esperienza della primaria amabilità, dell’amore primario“. Amore primario che forse genitori che  seguono uno  stile immortale, in cui ogni disagio e ogni limitazione vengono esclusi, sono  ineluttabilmente impediti a fornire.

E forse a questa domanda di  illimitato benessere che si legano alcune forme di  governo   in cui  qualche personaggio-guida può impunemente dichiararsi “unto dal Signore” o “tecnicamente immortale”, oppure riferire di aver  installato refrigeratori nella  sua abitazione per conservare al meglio la propria salma,  così da materializzare una finzione di “eternità” oppure  manifestare la “grandiosa” capacità di abbattere i segni del tempo, provando a mostrare, anche se ultrasessantenni, un aspetto molto giovanile, con oculato ricorso alla medicina estetica.

Ed è questo il caso di Antonio, un imprenditore 60enne, conosciuto presso il nostro Centro. Ha potere, come ci tiene spesso a sottolineare, su 1.200 dipendenti ed una adolescenza passata a lavorare, per cui racconta, “avanti negli anni ho voluto rifarmi“. Il modo con cui si è voluto rifare è stato abbastanza originale: divorzio dalla prima moglie, dalla quale aveva avuto due figli,  ormai grandi e, verso i 50 anni, dopo una adeguata frequenza di Centri di benessere e altro, una convivenza con una modella di 25 anni più giovane. Da questa  ragazza poi, ha avuto altri due figli, adesso di 9 e 6 anni, che in pratica sono cresciuti con baby-sitter e donne di servizio.

Difatti la mamma è sempre apparsa più motivata a frequentare negozi e saloni di bellezza e la sera a fare  vita mondana con il compagno; dopo sei anni di convivenza, poi, ha pensato bene di integrare il tutto con la ricerca di più giovani amanti.

Lo stile  educativo seguito da questi genitori, quindi, è apparso molto autocentrato e comunque finalizzato, come descritto, alla ricerca del benessere assoluto. In quest’ottica i bisogni dei piccoli così come ogni altro limite venivano poco riconosciuti.

In tal modo, soprattutto il secondogenito ha avuto scarse occasioni di stare con la madre e quando  all’età di tre anni  non ha più visto in casa questo genitore, “cacciata” dal suo compagno in quanto sorpresa con uno dei suoi spasimanti, il fatto non gli ha creato  molti turbamenti. Così come scarse ripercussioni hanno  avuto nel piccolo il successivo matrimonio di quest’adulto e la nascita, di un nuovo fratellino e, poco dopo, l’insediamento in casa della nuova compagna del padre, sempre una modella, stavolta di quasi 30anni più giovane e  dei suoi due figli, avuti da un precedente, fallito matrimonio. Questo bambino aveva trovato un distorto modo di far fronte alle carenze e alla confusione sperimentata: il ricorso alla hybris  borderline. La sorella che ha avuto più possibilità di sentire la “primaria amabilità” menzionata,  pare presentare “solo”  disturbi fobico-ansiosi.

Se la cultura e le forme di potere associate, quindi, incidono così profondamente sulla crescita della persona, sarebbe opportuno contemplare nuove forme di  governo che indirizzino la formazione verso il conseguimento di ideali meno effimeri e più produttivi. Ideali cioè che contemplino una affettivizzata accettazione della nostra inferiorità ed un più adeguato sviluppo del  sentimento sociale, come ci dice il Prof. Fassino “vera forza aggregante connettivante oltre che l’individuo ai suoi simili, anche i processi biologici e psichici presenti nell’individuo“.

La psicologia può dare un contributo per conseguire questi obiettivi? Adler come sappiamo negli anni ’20, collaborando con il partito socialdemocratico, cercò di creare questo clima culturale, ma la sua opera, sempre alquanto  precorritrice, non era in linea con gli ideali superomisti che connotavano lo spirito di quei tempi e non trovò molta fortuna. Più fortuna invece ebbe  a quell’epoca il libro , scritto nel 1895, di un altro psicologo, Gustave Le Bon, che in “Psicologia delle folle” delineò il carattere delle masse e le strategie di persuasione per dominarle, strategie poi diligentemente seguite dai dittatori saliti al potere in quegli anni. L’opera di questo studioso francese pertanto, può essere considerata il primo lavoro di Psicologia Politica,  materia che attualmente si studia in diversi corsi universitari e che si prefigge appunto di  approfondire “il modo con cui gli uomini organizzano la convivenza collettiva e aiutare coloro che fanno politica a tutti i livelli”.

La psicologia adleriana, con il suo solido background nel settore, potrebbe  creare dei propri strumenti e metodologie che contribuiscano ad una organizzazione meno morbosa della convivenza collettiva e alla creazione di stili educativi più sintonici con i profondi bisogni dei piccoli del Terzo Millennio? 

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